A pochi giorni dal risultato delle Elezioni Regionali la discussione all’interno del Partito Democratico si è accesa. Il segretario, Pier Luigi Bersani, ha ricevuto ieri l’invito a “cambiare passo” attraverso una lettera firmata da quarantanove senatori, tra cui Ignazio Marino, già rivale dell’ex ministro dell’Economia nella corsa alla segreteria. Nello stesso giorno hanno tenuto banco le dichiarazioni del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che se l’è presa con quei “dirigenti che si sono tirati indietro per viltà” e l’attesa conferenza stampa del sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. Con lui IlSussidiario.net ha voluto analizzare il delicato momento del centrosinistra.
La sua analisi è stata chiara: il risultato delle urne non è né un pareggio, né un tracollo. Per il Pd è una sconfitta da non sottovalutare, ma dalla quale è possibile ripartire. L’importante è non cambiare posizione in base ai giornali o alle manifestazioni. Secondo lei il Pd è ancora un partito “liquido”, troppo sensibile, cioè, nei confronti di ciò che lo circonda (da Santoro a Beppe Grillo)?
A mio parere il Partito Democratico è in ritardo nella definizione di una posizione chiara e autonoma. Il versante da cui non dovrebbe farsi influenzare non è però soltanto quello giustizialista, lo stesso discorso dovrebbe valere per il moderatismo cattolico, il mondo sindacale o quello industriale. Sto parlando di autonomia da questi interlocutori non di contrapposizione. Con questi soggetti si possono condividere alcune battaglie, l’importante però è che la linea non cambi a seconda delle loro reazioni o degli editoriali che si leggono la mattina.
Sta dicendo che manca in pratica una linea politica?
Mancano dei messaggi programmatici che definiscano con nitidezza una linea e un’identità. Da mesi ripeto, anche se qualcuno mi accusa di alto tradimento, che il progetto del Pd ha senso solo se investe per creare qualcosa di più largo e di diverso. Questo richiede una ridefinizione dei profili programmatici e di identità e la ricerca di leadership in grado di rappresentare questa nuova realtà, senza escludere nessuno.
Detto questo, a mio avviso Bersani ha dato il massimo e, ripeto, sarebbe disastroso riaprire adesso la “caccia al segretario”.
La coalizione di centrosinistra non le sembra già abbastanza ampia? In questa tornata elettorale il centrosinistra si è alleato, a seconda dei casi, con la sinistra radicale, L’Italia dei Valori, ma anche con i Radicali e l’Udc…
Il perimetro da cui partire è più o meno quello attuale, da Vendola a Casini, serve però un profilo programmatico per non riproporre il fallimentare modello dell’Unione. Sono un po’ stufo di parlare di Ulivo sollevando gli applausi degli uni e le critiche degli altri, ma ho in mente quel modello per il centrosinistra. Se fa problema il nome lo chiameremo “Ettore”.
A proposito di “Ulivo 2” in questi mesi si è parlato di Casini come del “nuovo Prodi”. Lei crede a questa ipotesi?
Guardi, la leadership non può che essere decisa da coloro che prenderanno parte al progetto. Non si possono escluderne alcune, né sceglierne delle altre a priori.
Ha intenzione di proporsi per questo ruolo?
Non mi pare che siano ancora aperte le iscrizioni. Io sono disponibile a lavorare per questo progetto se si concretizza, se questo non succede mi guarderò intorno.
Tornando al voto. Quali sono stati gli errori che vi hanno penalizzato secondo lei?
Non vorrei tornare al passato. A suo tempo dissi che alla candidatura di Vendola in Puglia si poteva arrivare in modo meno tortuoso e meno penalizzante per il Partito Democratico, se invece prendiamo un caso che mi riguarda da vicino, come il Piemonte, sono convinto che la scelta di candidare Mercedes Bresso sia stata quella giusta.
Come si spiega allora questo risultato? Renzi avrebbe preferito che lei combattesse in prima fila…
Quando si perde per 10.000 voti su 2 milioni di elettori le ragioni sono molteplici. Paghiamo l’astensionismo e lo scarso radicamento che purtoppo dobbiamo registrare al Nord e, in generale, quando ci si allontana dalle aree metropolitane. A Torino infatti siamo fortissimi, mentre siamo deboli in provincia, ma questo non accade solo in Piemonte.
Sulla mia eventuale candidatura, nonostante quello che qualcuno dice, ho evitato di aprire una discussione, per non dare ai cittadini l’immagine di una politica attaccata alle poltrone. La Bresso aveva governato bene 5 anni e doveva ripresentarsi.
A proposito di Nord, da tempo lei parla di costruire un partito federale che sia in grado di competere con la Lega…
Il partito federale rimane un riferimento a cui puntare. Siamo lontani, c’è ancora un eccessivo centralismo. Penso però che sia evidente a tutti che un partito come il nostro non possa permettersi di non essere rappresentativo, neanche in parte, all’interno di tre regioni che contano in tutto 25 milioni di abitanti. Difficile costruire un’alternativa nazionale se al Nord siamo assenti.
Ma secondo lei è giusto attribuire la sconfitta alla presenza della Lista di Beppe Grillo?
Il Movimento a 5 Stelle ha tolto più voti a Rifondazione che a noi. Molti elettori della Federazione della Sinistra, penso si chiami così, hanno votato lista comunista e presidente grillino. Per me Grillo è di un’altra squadra, non gioca nella mia. Se però gli altri segnano non si può andare a piangere dall’arbitro.
Cambieranno i rapporti tra Pd e area giustizialista
Le faccio un esempio: Grillo, quando ero in campagna elettorale, venne a fare uno dei suoi comizi a pagamento, uno show, invitando a non votarmi. Alle elezioni presi il 70%. Il rapporto deve essere questo.
I grillini sono portatori di istanze populistico-radicaleggianti dentro le quali i confini tra destra e sinistra si confondono. Alcune delle loro istanze si possono però prendere in considerazione. Io ad esempio sono contrario all’immunità parlamentare e sono favorevole a dei criteri di candidabilità più severi per i condannati.
Due flash per chiudere: come saranno i rapporti con la regione del neo-presidente leghista Cota? Il centrosinistra nazionale è disponibile a fare le riforme con il centrodestra?
Le istituzioni vengono prima della politica. Così come non c’erano problemi con Ghigo non ce ne saranno con Cota. È il centrodestra a dimenticarsi troppo spesso di questa disciplina istituzionale.
Per le riforme, invece, dipenderà esclusivamente dai contenuti. Non credo molto alle intenzioni preventive di confronto o di non confronto. Per ora è molto difficile accettare delle proposte che non ci sono.
(Carlo Melato)