La discussione sul semipresidenzialismo alla francese, il premierato forte e la legge elettorale  si è interrotta a causa dei ballottaggi. Salvo qualche piccola eccezione ora ci attende l’ultima parte della legislatura, con la sua promessa di riforme e di dialogo, e il forte sospetto che il quadro politico, in un senso o nell’altro, cambierà radicalmente. Stefano Folli, editorialista de Il Sole 24 Ore,  ne ha discusso con IlSussidiario.net.



Innanzitutto un commento ai risultati dei ballottaggi di ieri, che hanno visto il centrodestra vincente in una “roccaforte rossa” come Mantova.

Quello mantovano è senz’altro un risultato importante e inatteso. Il centrodestra supera le sue antiche difficoltà nei confronti del secondo turno e conferma la tendenza positiva che si era vista alle elezioni regionali.
A sinistra dovrebbe invece preoccupare la mancata rivincita dopo la delusione di qualche settimana fa. Il ballottaggio dava tutte le garanzie per potersi difendere e ricompattare. Ci si aspettava un segnale dall’elettorato di sinistra, che però non è arrivato. Scricchiolano, tra l’altro, quelle roccaforti nelle quali Bersani dovrebbe essere teoricamente più forte.

Con quest’ultimo atto la lunga tornata elettorale può però definitivamente dirsi conclusa. Come giudica le prime fasi del dibattito sulle riforme che hanno preso il via negli ultimi giorni?



La discussione sui modelli e sulle forme di governo è abbastanza scoraggiante. Al di là degli slogan non c’è nessuno che abbia veramente la volontà e la capacità politica di arrivare a un risultato in questo senso. Berlusconi non è interessato alla riforma istituzionale, la Lega lo è, ma non ha le forze, la massa critica, per guidare questo cammino.

Difficile perciò ipotizzare un accordo?

A mio parere il Partito Democratico con la sua tattica attendista commette un grave errore. Avrebbe tutto l’interesse nel cercare un accordo con alcuni interlocutori presenti nel centrodestra e stanare Berlusconi. Per fare questo servirebbero però idee nuove e concrete, senza tatticismi. Il problema, ripeto, non è nel modello istituzionale che si sceglie, ma nella volontà politica. Ci fosse quella avremmo una riforma pronta in tre mesi.



Le ipotesi che erano uscite dalla Bicamerale potrebbero costituire, come qualcuno auspica, un buon punto di partenza?

Forse sì, anche se mi aspetterei qualcosa di nuovo e di più creativo. Sono passati 13 anni dopo tutto.

Perché il premier, secondo lei, non avrebbe interesse a portare a termine le riforme?

A mio parere, non vuole un accordo con la sinistra e vedrebbe con grande sospetto un nuovo sistema di rapporti tra la Lega, il Pd, Fini e il Quirinale. Berlusconi sposta così il dibattito, fa di questa discussione una piattaforma per ottenere maggiore consenso dimostrando apertura verso le riforme, senza però impegnarsi più di tanto per ottenerle. Alcune riforme poi le potrà portare avanti senza bisogno di accordi con l’opposizione.

Come ad esempio?

La giustizia. Su questo tema l’accordo è impossibile e, tra l’altro, non necessario. Il governo perciò non rimarrà fermo ad aspettare.

E per quanto riguarda il fisco?

Il Presidente del Consiglio è riuscito a costruirsi l’immagine del leader che riuscirà a tagliare le tasse. Sicuramente è quello più adatto a farlo, ma non ha il via libera di Tremonti. I soldi mancano, bisognerà avere ancora molta pazienza per qualche mese, o per qualche anno.
In pratica, il governo continuerà a governare, ma non sembra sensato farsi illusioni su un’ipotetica “Grande riforma” o addirittura su un governo di unità nazionale, che, comunque, Berlusconi ha sempre lasciato intendere di non amare.

Come giudica l’ultimo strappo tra il premier e il Quirinale dovuto alle dichiarazioni di Berlusconi sugli eccessivi controlli e pregiudizi dello staff del Capo dello Stato nei confronti del governo?

Sono punture di spillo, sgradevoli, non compromettono nulla, ma dimostrano che non stiamo attraversando il clima adatto per riformare il Paese. Di certo non sono queste le condizioni ideali per affrontare il passaggio da un sistema parlamentare a un sistema presidenziale.
Napolitano ha dato molte prove di voler assecondare un confronto fruttuoso, Berlusconi continua invece a marcare una distanza. Anche la proposta di introdurre il modello francese che ha avanzato mentre era a Parigi va letta in questo senso.

Cosa intende?

Il presidenzialismo evocato in quei termini non è accettabile neanche dalla sua stessa maggioranza, è una proposta che ha lo scopo di bloccare sul nascere un possibile accordo.

Dietro a un riassetto costituzionale ci sono le mire di Berlusconi verso il Quirinale?

È evidente che questa volontà c’è. Vedremo però come cambierà il quadro politico.

Da ultimo, nel Partito Democratico si segnala il ritorno improvviso di Prodi con la sua proposta di rivoltare il partito come un calzino, ripensandolo in senso federale. Come legge questo suo intervento?

Per Prodi il Pd è un corpo chiuso che, anche grazie a Bersani, non gli ha lasciato alcuno spazio. Per disarticolarlo ha voluto ipotizzare un “Partito del Nord”, proponendo di spazzare via gli organi nazionali per sostituirli con un esecutivo formato da 20 segretari regionali.
Il Professore invita in pratica a far fuori i vecchi dirigenti, D’Alema e Veltroni in primis, e punta sull’appoggio di chi nel Pd, vorrebbe ricominciare da zero ed eliminare Bersani.