Il documento preparatorio della Cei della 46ma Settimana sociale dei cattolici italiani è assai critico verso il federalismo. In esso si criticano «decisioni-manifesto fragili sul piano dell’architettura istituzionale» e c’è l’invito ad evitare gli «effetti perversi» di un «federalismo per abbandono». Il timore in altre parole è che la riforma spacchi il paese, contaminando di egoismo la costruzione del bene comune, a scapito della solidarietà e della sussidiarietà. È proprio così? Risponde Giancarlo Pola, docente di Scienza delle finanze.



Professore, qual è la sua opinione in proposito?

Quella dei vescovi, dei quali ho il massimo rispetto, mi pare un’opinione discutibile. La mia impressione è che confonda la carità cristiana con argomenti seri che in tutto il mondo federalizzato sono preminenti. Nulla toglie che un mondo a federalismo compiuto, come quello tedesco, conservi intatto il ruolo e i benefici che derivano dall’azione dello stato centrale. Come potrebbe benissimo raccontare Georg Milbradt, presidente della Sassonia dal 2002 al 2008 è solo grazie al bilanciamento di sistema federale e «centralismo buono» che la Sassonia ha potuto imboccare la strada della crescita economica. Il federalismo serve per cambiare le cose e non dobbiamo secondo me tarpargli le ali prima che manifesti i suoi effetti.



Cosa intende dire?

Che fare obiezioni ad un federalismo mal compreso e non ancora applicato sortisce paradossalmente l’effetto di difendere lo status quo: quello del sottosviluppo e dello spreco, frutto degli effetti perversi del vecchio centralismo. Il federalismo non è la bacchetta magica in grado di risolvere i mali del sud, ma un sistema che alimenta e si alimenta di responsabilità. Non è poca cosa.

I Vescovi sono preoccupati che il sud del paese sarà lasciato a se stesso.

Qualsiasi iniziativa le regioni più povere vorranno intraprendere a favore della modernizzazione del sistema o della sua difesa nei punti più delicati – a fronte del fenomeno dell’immigrazione per esempio – sarà aiutata dal governo centrale. Quello che non capisco è l’incapacità di parlare di federalismo al di fuori di un approccio «pendolare», che vede da una parte o la prevalenza su scala ridotta del governo centrale, o una deriva territorialista.



In effetti sono molti i dubbi che vengono avanzati. La bozza di documento dei vescovi esplicita il timore che il federalismo spezzetti quel che rimane del senso di coesione sociale e comunitaria del paese.

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Secondo me c’è anche un fattore culturale. Sembra che non si possa affrontare in Italia il tema del federalismo al di fuori di sfumature moraleggianti o etiche. E lo dico da cattolico. Ma questo ci porterebbe verso altre considerazioni.

 

I vescovi parlano del rischio di un «federalismo per abbandono».

 

L’unica cosa che viene abbandonata è la mancanza di responsabilità come criterio di gestione della cosa pubblica. Anche in Spagna si è fatto il 75 per cento di perequazione del totale delle spese, che sembra essere un buon traguardo anche per noi. Garantiremo comunque una perequazione al 100 per cento delle spese fondamentali, il che vuol dire che i miliardi del welfare, della sanità e dell’istruzione saranno tutti garantiti. Se le restanti spese saranno perequate al 90 per cento, non si può parlare di federalismo di abbandono. Teniamo presente che la civilissima Svizzera è arrivata a perequare all’85 per cento.

 

Professore, traduca per il comune mortale. Cosa vuol dire perequazione?

 

Vuol dire garanzia della disponibilità di risorse, o sotto forma di spese dimezzate, o sotto forma di disponibilità di entrate. Dipende da come lo si interpreta: l’articolo 119 prevedeva una perequazione della disponibilità fiscale, invece poi l’attuazione della legge sulla perequazione, la 42, ha privilegiato la perequazione della spesa. Tradotto, lo stato dice alla Regione: non ti garantisco che avrai in tasca il 90 per cento dei soldi che avranno in media tutti, ma ti garantisco che comunque tu, Regione, decida di spenderli nelle spese fondamentali, sarai coperta al 100 per cento.

 

Che cosa garantirà che con il federalismo a regime – federalismo di cui ancora non conosciamo i decreti attuativi – non sarà il sud a rimetterci, cadendo in mano alla criminalità e all’abbandono?

 

Ma nessun sistema fiscale e istituzionale garantisce meccanicamente la moralità degli amministratori della cosa pubblica. La garanzia in questo caso sta nel rafforzamento del senso di responsabilità della classe amministrativa e politica più che nella tecnica di distribuzione delle risorse. Garanzie non credo che ce ne siano mai in nessun caso da questo punto di vista. E comunque, il periodo transitorio sarà sufficientemente lungo.

 

Cosa accadrà in altre parole nel periodo transitorio?

 

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Nel periodo transitorio accadrà che le risorse verranno distribuite in modo sempre meno simile a quello del passato, e sempre più in base ai reali fabbisogni, calcolati secondo parametri oggettivi.

 

I parametri previsti dai costi standard?

 

Sì, anche se a livello locale provinciale saranno non costi standard in senso tecnico specifico, quanto fabbisogni standardizzati: tot bambini necessitano di tot spesa comunale. Ma le dirò di più: alla fine non è detto che il sud ci rimetta, perché quando si andranno a misurare i fabbisogni delle regioni povere, può darsi che il complesso delle risorse che spetteranno alle regioni meno dotate sia anche superiore a quello delle risorse di cui dispongono oggi!

 

Professore, semplifichiamo ancora il meccanismo dei costi standard.

 

Se la media italiana è per ipotesi di 30 dipendenti pubblici per 1000 abitanti, non può essere che a Rovigo ce ne siano 20 mentre da qualche altra parte, e dove non è difficile immaginare, ce ne siano 50. Non sarà più possibile perché quella spesa supplementare non sarà più tollerata.

 

Chi determinerà i costi standard ai quali le Regioni al nord come al sud dovranno uniformarsi?

 

È quello che sta facendo la Commissione paritetica, d’intesa con le Regioni. I costi standard saranno presentati a breve, entro giugno, dopodiché ci vorrà l’accordo in Conferenza Stato Regioni.

 

Quando si parla di federalismo sembra che ci sia un fantasma ineliminabile: quello del centralismo su scala ridotta. È così?

 

Ritengo che non dipenda dal federalismo in sé, ma che sia una deformazione indotta dai comportamenti di alcune autorità regionali negli ultimi anni. In certe Regioni in effetti esiste una tendenza al comportamento centralizzante, ma è una questione politica: dipende da quanto sono forti o deboli (o non sussistono affatto) i meccanismi di collaborazione tra enti locali maturi, e dalla strutturale tendenza della burocrazia ad imporre la sua presenza e il suo controllo.

 

 

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