Le indagini sugli appalti condotte dalle procure di Firenze e Perugia preoccupano non poco la maggioranza, il governo e lo stesso Berlusconi. Al doppio filone di inchieste si è aggiunto l’elenco dell’imprenditore Diego Anemone, con centinaia di nomi eccellenti che avrebbero ricevuto dal costruttore favori in cambio di favori. Col risultato che la politica è precipitata nel cono d’ombra di un’incertezza crescente.
«Chi ha sbagliato dovrà pagare» ha fatto sapere il premier, che ha adottato la linea dura. Che si tratti di «accerchiamento ad orologeria» o di escalation giudiziaria, è certo che l’indagine ha provato purtroppo l’esistenza nel Pdl di comportamenti poco limpidi che non vanno proprio bene al premier, molto preoccupato del contraccolpo, in termini di popolarità, che può avere una nuova «questione morale». Ilsussidiario.net ha parlato di questo delicato momento della vita polisca nazionale con Stefano Folli, editorialista del Sole 24 Ore.
Folli, quanto è pericoloso per il governo quello che sta accadendo nella cronaca giudiziaria degli ultimi giorni?
Per il governo non so dire quanto sia pericoloso, ma per Berlusconi lo è senz’altro perché disturba molto la sua immagine. Non riguarda solo lui – il che farebbe rientrare tutto nel quadro della persecuzione, vera o presunta, da parte dei magistrati – ma è qualcosa che attiene più al governo, alla rete allargata di conoscenze, rapporti e collaborazioni che la politica presuppone. E questo è fastidioso per Berlusconi, perché disturba la sua immagine volitiva di presidente del Consiglio in un momento di particolare difficoltà economica e finanziaria.
Come le pare che stia reagendo Berlusconi?
È preso in una contraddizione di fondo. Da un lato è costretto a occuparsi di queste vicende per cercare di recuperare terreno dal punto di vista dell’immagine. Dall’altro, tutto quello che attiene all’attività di governo sembra quasi sfuggirgli, e venire gestita da altri, Tremonti in primo luogo.
La «linea dura» di Berlusconi dentro il Pdl è un ripiego o un’opportunità?
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Né l’uno né l’altra. In politica cose come queste si fanno per necessità, e Berlusconi vi è stato costretto per cercare di non esser soffocato da questa vicenda. Che ci riesca non lo sappiamo: può essere che i giornali abbiano scritto più di quello che sia in realtà; come può darsi che ci siano sorprese negative che ancora devono emergere. In ogni caso Berlusconi si trova a dover mandare un segnale forte all’opinione pubblica. Deve mostrare iniziativa, far vedere che lui è un uomo che non solo non ha niente a che fare con la rete del malaffare, ma che è anche in grado di prendere decisioni necessarie, per quanto dolorose.
Secondo lei la minoranza finiana potrebbe approfittarne?
Non c’è dubbio che Fini trova nell’inchiesta un’occasione per allargare il suo spazio politico. Sono sempre stato convinto che Fini possa essere più o meno insidioso per Berlusconi, ma che questo non dipenda da quanti deputati ha il presidente della Camera, perché quello che lo rende forte o debole è la possibilità di interpretare una certa opinione pubblica del centrodestra nel momento in cui il messaggio di Berlusconi non è più così forte.
In altre parole, Fini può solo sperare nell’arretramento di Berlusconi.
Sì. Fini non ha spazio presso l’opinione pubblica, ma nel momento in cui il messaggio di Berlusconi si indebolisce – e potrebbe essere questo il caso, anche se è presto per dirlo – ecco che una destra legata al principio di legge e ordine inevitabilmente guadagna consenso.
Umberto Bossi ha detto del governo che «finché ci siamo io, la Lega e Tremonti non lo buttano giù». Che ne pensa?
La frase di Bossi è molto significativa, perché parla del governo e di Tremonti ma non di Berlusconi. È una dichiarazione che non esprime un sostegno incondizionato al premier, che rimane implicito, mentre cita Tremonti, cioè l’uomo che in questo momento svolge una politica economica necessaria per il paese, dolorosa ma alla quale la Lega ha deciso di dare il suo pieno sostegno. In passato Bossi avrebbe potuto dire per esempio che Berlusconi non si tocca perché la Lega lo sostiene. Ora – dice – il governo non cadrà perché io e Tremonti lo sosteniamo. C’è una bella differenza.
Cosa si sta preparando nel centrosinistra con il riaccendersi dello scontro tra Veltroni e Bersani?
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È l’eterna riproposizione di qualcosa di poco comprensibile all’opinione pubblica. Che nei giorni in cui l’Europa doveva salvare la Grecia e con la grande crisi dell’euro in atto il contributo del Partito democratico fosse un litigio, francamente mi sembra un messaggio politico tutt’altro che positivo. È l’ammissione chiara che l’opposizione in questo momento non sta giocando un ruolo nazionale. È solo la maggioranza a farlo.
Anche se è visibilmente in affanno?
Sì, perché assorbe ed esaurisce il dibattito politico solo quello che accade nella maggioranza: è la maggioranza che esprime la linea del governo, è la stessa maggioranza ad esprimere una sensibilità diversa che è quella della Lega, è ancora la maggioranza a comprendere al proprio interno quasi una forma di opposizione, che è quella di Fini. Tutto avviene all’interno della maggioranza. Rispetto a questo dibattito l’opposizione è sostanzialmente assente, se non per i suoi litigi con protagonisti che sono gli stessi di sempre e che dicono sempre le stesse cose. È qualcosa su cui bisogna riflettere.
Quali sono le prospettive politiche di Casini e del nuovo progetto del «Partito della Nazione»?
Va detto onestamente che un «partito della nazione» con il 5 per cento dei voti non si giustifica molto. Per essere serio un vero partito della nazione dovrebbe avere, per dirla con Veltroni, una vocazione maggioritaria. Casini sarà davvero capace di andare oltre i confini dell’Udc e di costruire un’aggregazione molto ampia? Al momento c’è da essere scettici. Occorre vedere quali carte Casini ha da giocare, e quale sarà lo scenario politico di qui a qualche mese. L’intenzione può essere buona, ma i margini mi sembrano molto stretti.
Un governo tecnico o il voto appartengono secondo lei ad uno scenario possibile?
Ad un governo tecnico non credo. La questione morale e la manovra economica sono due argomenti che allontanato il voto anticipato, se consideriamo che una maggioranza esiste e governa; non lo escludono, però. Ma non a breve scadenza.