In un momento di grande confusione politica, tra proposte di governi di emergenza democratica, scandali alle porte e ipotetici voti anticipati, il federalismo sembra una delle poche riforme su cui la gran parte delle forze politiche può trovare un punto di intesa. Per la Lega è una bandiera, per la minoranza finiana del Pdl e per la sinistra un passaggio da affrontare, anche se pieno di insidie e pericoli sul piano dell’unità nazionale e della solidarietà verso le zone più svantaggiate.
Non tutti credono poi all’effettivo risparmio di risorse che la riforma federale potrà portare e alcuni temono una, seppur iniziale, moltiplicazione dei centri di spesa.
«Non devono preoccuparci le leggi – dice però Gilberto Muraro, Docente di Scienza delle finanze all’Università di Padova aprendo la discussione con IlSussidiario.net -, ma i comportamenti».
Professore, il federalismo che il Governo si appresta a perfezionare e ad applicare è stato concepito in chiave egoistica? Sono giustificate le preoccupazioni in questo senso, sollevate recentemente anche dai vescovi?
Se analizziamo la legge delega queste preoccupazioni sembrano fuori luogo proprio perché è previsto un alto livello di solidarietà. I diritti essenziali rimangono di competenza dello Stato e hanno una copertura di rango costituzionale. Questi diritti di cittadinanza devono essere perciò assicurati in qualsiasi parte del territorio. L’articolo 117 ne fissa i livelli essenziali.
Cosa si intende per “essenziali”?
Non parlando di “livelli minimi” si deve intendere un elevato livello di soddisfacimento di questi diritti. Oltre a un vincolo di uniformità sull’80% della spesa periferica (sanità, spese amministrative per l’istruzione e servizi fondamentali degli enti locali) è previsto poi un ulteriore sforzo di perequazione che tenga conto della diversa capacità fiscale dei territori. In definitiva, considerando il panorama internazionale questo è certamente un federalismo ad alto livello di solidarietà, almeno se ci atteniamo a quanto risulta dalle carte.
La preoccupa l’applicazione di questa legge?
Mi preoccupa l’eccessiva attesa nel Paese per questa “svolta epocale”. Esponenti autorevoli di partiti di governo promettono al Nord che le sue risorse non andranno più verso il Mezzogiorno. Sono attese destinate ad essere deluse e questo non può che preoccuparci. Alcune dichiarazioni di esponenti della Lega sono poi dei pericolosissimi campanelli d’allarme.
A cosa si riferisce?
L’operazione mediatica di dileggio pervicace del Risorgimento compiuta dalla Lega, non essendo un processo di revisione critica rispettabile, fa a pugni con il federalismo.
Tutti gli stati federali dedicano molta attenzione a quei fattori che fanno da collante e che assicurano l’unità nell’autonomia. Pensiamo alla rivoluzione americana per gli Usa, alle lotte per le libertà dei cantoni svizzeri, o all’affermazione dell’identità tedesca nell’‘800 per la Germania. Si può essere largamente autonomi in periferia solo se tutti si riconoscono in un fattore comune. Quando una forza politica forte e ago del quadro politico, invece, mina sistematicamente questo collante, mostra comportamenti poco razionali per un partito che si muove in ottica federale, ma razionali se mira alla secessione.
Passiamo a un altro nodo fondamentale, quello dei costi. Sarà una riforma a costo zero, capace di farci risparmiare o un investimento considerevole su un futuro lontano?
Analogamente a quanto dicevamo prima, se guardiamo alla legge l’aumento dei costi non ci sarà, anzi è lecito attendersi una diminuzione. Ragionando in termini di costi standard, alzando il livello di efficienza, allineando i meno virtuosi alle best practices dei più virtuosi si dovrà spendere meno. I dubbi però rimangono: possiamo giurare che sarà così? Perché il decentramento amministrativo compiuto da Bassanini alla fine degli anni Novanta, in qualche modo l’antipasto di tutto questo, non ci ha portato a risparmiare? Perché le funzioni affidate alla periferia non si sono accompagnate a uno snellimento dell’apparato centrale? Chi ci garantisce che non succederà di nuovo?
Non ci sono garanzie in questo senso?
Sono presenti nella legge delega e sono esplicitate. Il passaggio delle competenze, ad esempio, sarà legato al passaggio del personale. La legge però non dà garanzie e sui comportamenti non assicura risultati. Questo è evidente quando si parla di sanzioni nei confronti dei cattivi amministratori.
La riforma federale non offrirà maggiori strumenti in questo senso?
Nulla vieta di sanzionare i cattivi amministratori già adesso, senza dover aspettare il federalismo. Come vediamo però la politica premia il sindaco di Catania e lo promuove europarlamentare, la politica corre in aiuto di Palermo, di Roma… non sono buoni segnali.
Non sarà quindi una riforma a portare la classe politica verso la riscossa morale?
Assolutamente no. La riforma dovrà accompagnarsi a una forte tensione morale affinché la classe politica possa recuperare credibilità. Per ora, però, segnali di questo tipo non se ne sono visti.
Alla luce delle sue preoccupazioni che vanno al di là di quanto poi verrà messo nero su bianco, quali accortezze consiglia per condurre in porto una riforma così delicata?
Dobbiamo assolutamente evitare il pericolo subdolo del perfezionismo, evitando di perderci nel complicato calcolo dei costi standard. Troviamo dei riferimenti convincenti e stabili nel tempo.
Senza entrare troppo nella tecnicalità del problema può chiarire questo passaggio?
La mia proposta è quella di evitare la micro-divisione delle funzioni privilegiando un conto “all’ingrosso” basato sul fabbisogno standard di un aggregato di funzioni. Semplificando direi di lasciare spazio anche a una scelta discrezionale e politica, oltre che al freddo conteggio costi-benefici. Si decide quanto si può spendere ad esempio per la sanità in un certo territorio e si ripartisce per la popolazione ponderata per classi d’età. In sintesi, meno astrazione e più politica.