L’Udc apre oggi a Todi i lavori per la costruzione di un nuovo soggetto politico. Obiettivo dichiarato un “Partito della Nazione” dai contorni ancora tutti da definire. Per avere successo e andare oltre un’inutile restyling i centristi dovranno infatti aggregare tutte le forze disponibili al progetto, cercando parallelamente di allargare il consenso, dopo l’esperienza non entusiasmante delle alleanze variabili alle elezioni regionali.
Intanto, sul tavolo della politica italiana resta viva la proposta di un governo di unità nazionale lanciata da Casini. «Berlusconi dovrebbe pensarci seriamente – dice Rocco Buttiglione a IlSussidiario.net -. In ogni caso da qui a tre anni lo scenario cambierà».
 
Il vostro ipotetico riavvicinamento al Pdl ha destato preoccupazioni nella Lega. Le smentite di questi giorni ci dicono che l’ipotesi è definitivamente tramontata?



Non ci sono possibilità di questo tipo. I rapporti umani sono buoni con tutti al di là delle divisioni politiche, ma gli elettori hanno messo Berlusconi al governo e noi all’opposizione. È bene che le cose rimangano così. Sono altri i temi all’ordine del giorno.

Quali?

Certamente la gravissima crisi che stiamo attraversando. Senza sminuire ciò che è stato fatto, le contromisure del governo Berlusconi sono state nettamente e inevitabilmente insufficienti. Il Paese ha bisogno di medicine amare e nessuno è in grado di somministrarle da solo. Per questo rinnovo l’appello a Berlusconi: se è in grado di dare al Paese la politica che serve lo faccia, altrimenti chieda l’aiuto di tutti quelli che hanno senso di responsabilità.



Chi garantisce che un “governissimo” saprebbe rispondere meglio a queste sfide rispetto all’attuale esecutivo?

Un governo di larghe intese che accolga tutti quelli che vogliono dare una mano e che escluda solo chi si autoesclude è la strada maestra. Se si ha il coraggio di uscire dagli schemi e dai ricatti della politica politicante è possibile trovare in breve tempo un accordo su un programma condiviso, evitando quegli immobilismi a cui lei fa riferimento. Al di là delle apparenze, tutti sanno cosa occorre fare.

Ad esempio?

 

Procedere con tutte quelle riforme che sono sempre state dilazionate per paura della loro impopolarità: pensioni, mercato del lavoro, efficienza del sistema scuola, formazione professionale… Serve una rivoluzione morale.



Cosa intende?

Per poter affrontare questo difficilissimo momento la classe politica deve tornare credibile in fretta.
Teniamo conto che a livello europeo, come dice Angela Merkel, si tornerà a un’interpretazione rigida del Trattato di Maastricht. Il che significa pareggio di bilancio e non un deficit al 3%. Non solo, Tremonti parla di una manovra da 30 miliardi di euro, ne servirà invece una da 70. Poi c’è il tema della competitività: paesi che hanno una competitività così diversa non possono stare nella stessa moneta. L’Italia deve fare qualcosa anche in questo senso.

Tremonti, secondo molti commentatori, potrebbe essere l’uomo giusto per un governo tecnico perché avrebbe l’appoggio di gran parte delle forze politiche. Dai suoi giudizi lei non sembra di questa idea…

Tremonti non ha fatto male, ma la sua ottica è sempre stata di breve periodo, della serie “vediamo di cavarcela aspettando la ripresa”. Mi sembra più convincente quella di lungo periodo del cancelliere tedesco, una prospettiva più lunga capace di pensare ai conti e alla crescita. In vista di questo obiettivo un po’ di deficit si può concedere.

Cosa risponde a chi vede in questi progetti il ritorno alla vecchia politica e l’estremo tentativo di bloccare il federalismo?

Sul federalismo serve un discorso serio, per ora camminiamo al buio e nessuno sa quanto ci costerà. Non ci sono pregiudizi negativi da parte nostra, perché un federalismo ben fatto, nel lungo periodo, è un fattore di contenimento dei conti pubblici. Senza questa chiarezza però è impossibile discutere.

La vostra proposta è quella di un governo d’emergenza nazionale con o senza Berlusconi (come vorrebbe Franceschini)?

Chiedere un gesto di responsabilità a Berlusconi e farlo accomodare fuori dalla porta subito dopo non mi sembra molto saggio. A mio parere non è in grado di fare le riforme da solo, ma è altrettanto difficile farle senza di lui.

Passando ai lavori di oggi. Per quale motivo volete mettere fine all’esperienza dell’Udc per un nuovo “Partito della Nazione”?

 
 

Per spiegarlo vorrei partire dal recente appello del Papa secondo cui non c’è testimonianza cristiana in politica. Il Pontefice non ha sottolineato una debolezza, ma una mancanza. I cristiani in politica non sono pochi, ma la via della testimonianza individuale all’interno di forze diverse non ha pagato. Serve una nuova forza che sappia rispondere a questa esigenza.

Che tipo di partito avete in mente?

Non un soggetto confessionale che difenda i cristiani dalla contaminazione del mondo, ma che vede i cristiani come lievito e anima di un’azione che sappia trarre dall’esperienza cristiana una visione e una proposta. Una forza che si orienta laicamente alla Dottrina Sociale della Chiesa nel segno di libertà, solidarietà e sussidiarietà. Stando al centro non vogliamo più scegliere tra difesa del povero e quella del non nato, tra giustizia sociale e bioetica.

Che differenze ci sono rispetto agli obiettivi che si era posto l’Udc?

Non voglio nascondermi dietro a un dito, dire che l’Udc sia riuscito a rispondere a queste esigenze mi sembra eccessivo. È un partito nato dal crollo della Dc, ha riunito il meglio (e a volte non solo il meglio) della tradizione democristiana e ha lavorato per trovare un orientamento e per superare le divisioni.  Ora però è giunto il momento di un passo in avanti. C’è grande attesa in questo senso nel popolo e nella politica. Pdl e Pd infatti, non hanno saputo creare culture politiche, non hanno trovato sintesi, sono rimasti delle mescolanze di soggetti diversi.

A chi vi rivolgete per andare oltre i confini del vecchio partito?

Penso ad esempio a quei movimenti che hanno rinnovato la vita della Chiesa, ma che sono rimasti sulla soglia della politica. A loro dobbiamo offrire un partito in cui si possa fare politica senza perdere l’anima. Penso poi alla Rete Impresa Italia, ai commercianti, agli artigiani, attori che sono stati in tutti questi anni oggetto della politica, ma mai protagonisti.

Si è parlato del possibile ingresso di Rutelli, Fini, Montezemolo. Lo può confermare?

Ribadisco soltanto che le porte sono aperte a tutti.

Chi lo guiderà? Anche la leadership andrà ridiscussa?

Certo, ma è presto per dirlo. Ne discuteremo con chi condivide questo nostro orientamento di fondo.

Passiamo ai “dettagli”: perché questo nuovo nome? Rimarrà nel simbolo lo scudo crociato?

Penso che lo scudo crociato debba rimanere, anche se non tutti sono d’accordo. È il segno della continuità del cattolicesimo politico nella storia.
Per quanto riguarda il nome io l’avrei chiamato “Partito Popolare”, ma ci sono gravi ostacoli giuridici. “Partito della Nazione” andrà benissimo.

(Carlo Melato)