Il Consiglio dei Ministri ha approvato ieri il decreto legislativo sul federalismo demaniale, che rappresenta il primo passo verso quello fiscale. Il lavoro bipartisan sul decreto (dimostrato anche dalla conferenza stampa congiunta tra Calderoli e Di Pietro tenutasi mercoledì), che non ha stravolto il testo iniziale, ma lo ha solo perfezionato in alcuni punti, dimostra che il federalismo demaniale è una di quelle tanto auspicate riforme condivise dalle forze politiche di cui si avverte un estremo bisogno per il bene comune del nostro Paese.
Ma di che cosa si tratta concretamente? Per illustrarlo basta un esempio. C’è, credo, in ognuno di noi l’esperienza personale di avere visto immobili dello Stato abbandonati o sottoutilizzati: può essere stata una villa storica, una caserma, una spiaggia. E di avere provato un senso di sgomento nel constatare che quello che avrebbe dovuto essere un bene di tutti in realtà era diventato di nessuno. Il nuovo decreto permetterà di voltare pagina.Si tratta infatti di un federalismo di “valorizzazione” nel quale i beni vengono restituiti ai territori: ai Comuni alla cui storia sono legati, alle Province e alle Regioni che possono meglio valorizzarli.
Un processo che non penalizzerà le regioni del centro-sud, favorendo quelle delle Nord, come qualcuno sostiene. Basti infatti pensare, per esempio, che oggi le spiagge sono di proprietà dello Stato, ma la competenza in materia legislativa è delle Regioni. Gli stabilimenti balneari (come documentato dall’ultima puntata di Report) attualmente pagano allo Stato canoni di concessioni irrisori rispetto agli introiti che riescono a realizzare, approfittando di un apparato centrale che incontra difficoltà a effettuare tutti i controlli del caso sul territorio.
Con il federalismo demaniale, con la riunificazione in capo alle Regioni della potestà legislativa, della proprietà e del potere di controllo, si potranno evitare questi abusi, contribuendo alla valorizzazione di un bene pubblico, che come tale appartiene a tutti. Dato che stiamo parlando di spiagge, è evidente a tutti che le regioni del centro-sud potranno trarre vantaggio da questa riforma. Giova anche ricordare che le spiagge italiane, pur passando alle Regioni, resteranno in regime demaniale: non potranno quindi essere vendute, né su di esse potranno essere costituiti dei diritti reali, come quello di superficie.
Il federalismo demaniale non peserà nemmeno sul bilancio dello Stato. Una stima di valorizzazione compiuta da agenzie esterne dice infatti che il patrimonio pubblico iscritto in bilancio per circa 50 miliardi di euro, ne varrebbe in realtà almeno 200. Tanto per fare un altro esempio, una caserma dismessa che passa in capo a un Comune, attraverso una variante urbanistica, può accrescere notevolmente il suo valore.
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Ma non è tutto, perché un Comune che riceve una caserma dismessa potrà decidere se valorizzarla per conto proprio o tramite un fondo immobiliare privato oppure potrà farla confluire in un fondo federale attraverso cui lo Stato accompagnerà l’ente locale nella valorizzazione del bene. Questo “doppio canale” di scelta per i Comuni, eviterà quindi che i beni possano finire nelle mani di speculatori edilizi.
In ogni caso, gli introiti che gli enti locali realizzeranno da queste operazioni dovranno essere destinati alla riduzione del debito pubblico locale (per il 75%) e di quello nazionale (per il restante 25%). Il federalismo demaniale contribuirà inoltre alla riattivazione del mercato immobiliare, che negli ultimi anni si è andato sempre più saturando. Ci sono quindi dei vantaggi economici non indifferenti che deriveranno da questo decreto.
Si passa infatti da una logica dove ci si limitava a definire la titolarità del bene – la logica del codice civile del 1942 – a una più moderna dove si mette al centro la sua valorizzazione a beneficio della collettività. La crisi finanziaria ci ha insegnato il valore delle cose reali, ha messo in evidenza quali danni può produrre la sola finanziarizzazione, la virtualità. Oggi si riscopre il valore dell’economia reale, e in questo il valore delle cose, dei beni.
Ma cosa c’entra tutto questo col federalismo fiscale? Va detto, innanzitutto, che quest’ultimo non vuol dire solo una manovra sui tributi locali, ma vuol dire anche permettere agli enti locali di produrre ricchezza a prescindere dai tributi stessi. Senza mettere le mani nelle tasche dei cittadini, si creano quindi circoli virtuosi di responsabilità e valorizzazione che consentono di recuperare risorse.
Inoltre il federalismo demaniale rappresenta un primo passaggio dell’importante processo di responsabilizzazione di tutto l’apparato pubblico, statale e locale. Il decreto avvia infatti un censimento dei beni, obbligando le amministrazioni centrali a dare pubblicamente le ragioni per cui trattengono un bene in proprietà, e provvede alla riallocazione al livello di governo territoriale che quei beni può meglio gestirli e valorizzarli in vista del bene comune.
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Gli enti locali stessi dovranno poi rendere noti i processi di valorizzazione, attraverso la loro pubblicazione sui siti internet istituzionali. Un’operazione che garantisce una maggior trasparenza e che avvicina il popolo all’effettivo controllo della cosa pubblica. I cittadini potranno essere anche coinvolti attraverso sondaggi o veri e propri referendum consultivi sulla nuova destinazione da assegnare ai beni ricevuti dallo Stato e potranno eventualmente “punire” con il voto le amministrazioni locali che riterranno inefficienti o incapaci di gestire al meglio le risorse di tutti.
Difficilmente, infatti, un elettore sarebbe indotto a cambiare il proprio voto a livello nazionale, se in un Comune, una caserma dismessa venisse male valorizzata dallo Stato; ma se è il Comune a doversi prendere la responsabilità di fronte all’elettore, allora il controllo popolare diventa infinitamente più efficace: in quel Comune, di fronte a quel fatto, l’elettore potrebbe decidere di votare diversamente.