Questo fine settimana ha visto il Partito Democratico impegnato nei lavori dell’Assemblea nazionale e la discussione dei centristi dell’Udc a Todi, per la nascita di un nuovo “Partito della Nazione”. Due appuntamenti che coinvolgono da vicino quei cattolici del Pd che, come Beppe Fioroni, da tempo manifestano un certo disagio.
L’ex ministro della Pubblica Istruzione ha discusso con IlSussidiario.net il futuro del Pd e i principali temi all’ordine del giorno dell’agenda politica italiana.



Il Partito democratico, come sottolineano molti giornali, sembra aver ritrovato grande compattezza durante l’Assemblea. I nodi politici che lei da tempo pone al partito hanno trovato perciò delle risposte soddisfacenti?

È stata posta una prima pietra, c’è stato confronto sulle risposte da dare al Paese, ma serve molto di più. I sondaggi ci dicono che oggi il Pd viene considerato “di sinistra” e soprattutto il più “conservatore” tra i partiti italiani. Non è ciò che volevamo.
Il Partito Democratico non è nato per ricollocare la sinistra, né per ricollocare i gruppi dirigenti. Lo abbiamo fatto nascere per proiettare nel futuro il nostro Paese e il nostro sistema politico. Capiamo, nel più breve tempo possibile, cosa occorre fare per tornare ad essere credibili e interessanti.



Come raggiungere questo obiettivo?

Berlusconi ha artificiosamente rinchiuso una grandissima parte di italiani in un recinto, creando ad arte la paura dell’“orda rossa”, uno stratagemma degno della Guerra fredda. Dobbiamo far sì che questi italiani salgano sulla scaletta, guardino fuori da questo recinto e non trovino un’orda, ma un partito autorevole e riformatore che sappia risolvere i problemi degli italiani meglio della destra. È il momento del coraggio, non della paura, soprattutto in questo momento di grave crisi.

Cosa significa concretamente?

Se diciamo, ad esempio, di essere il “partito del lavoro” non basta ribadire la nostra vicinanza a precari e lavoratori dipendenti. Proviamo a diventare il partito dei commercianti, degli agricoltori, dei professionisti. Un soggetto politico che sa proporre un fisco giusto, che promette di delegiferare affinché il lavoro non sia determinato dall’angoscia di avere le carte in regola, ma dalla voglia di fare bene. Dimostriamo di avere un progetto innovativo per il cambiamento senza perderci nella ricerca di leader che in realtà non ci sono.



A cosa si riferisce?

Penso all’assurda speranza di vittoria fondata sull’attesa messianica di un “Berlusconi di sinistra”, di un “Papa straniero” come vorrebbe Repubblica, o in subordine di un “cardinale amico”. Non è questa la strada. Dobbiamo dimostrare di avere un progetto innovativo per il cambiamento.

 

Secondo alcuni opinionisti il Pd rischia infatti di dividersi in pro-Tremonti e pro-Berlusconi senza riuscire a formulare proposte. Come pensa di incalzare il ministro dell’Economia?

Certamente non come fa Di Pietro, novello Nerone che suona la lira mentre l’Italia brucia, pensando di poter costruire sulle macerie.
Facciamo invece un passo avanti: se Tremonti congela gli scatti di anzianità di 120 euro lordi a maestre e docenti proponiamo invece di rompere il contratto con chi ha usufruito dello scudo fiscale. A chi ha fatto rientrare 95 miliardi di euro pagando solo il 5% chiediamo un altro 10%. Meglio una patrimoniale sulla “cricca” che rendere più poveri i nostri insegnanti.

Altre idee?

Il ministro vuol mettere le mani in tasca ai pensionati? Proponiamo allora, caro Bersani, di far pagare l’Ici sulla prima casa ai ceti alti. Penso innanzitutto a me stesso e dico: possiamo pagarla senza nessun problema.
Ancora, vuole congelare il contratto degli statali che prevede un incremento di 80 euro lordi al mese? Proponiamo invece che chi ha un reddito come quello dei parlamentari paghi una tassa aggiuntiva del 2% o 3% per tre anni.

Basterà?

No, bisogna poi pensare alla Piccola e media impresa e tassare le rendite speculative e finanziarie. È giunto il momento della democrazia economica.

Cioè?

Invece di discutere con Bossi gli organigrammi delle banche, Tremonti dovrebbe dire al sistema bancario che la pacchia è finita. Basta essere forti coi deboli e deboli coi forti. Basta far fallire artigiani e commercianti per favorire i soliti gruppi di potere. E se non basta, Cassa depositi e prestiti, nonché una nuova filiera di 15.000 sportelli di credito aperto a tutti, e non agli amici degli amici.

Rosy Bindi diceva che il suo invito alle proposte concrete era solo un “pretesto per litigare”… 

 

Mi sono stufato del fatto che si apprezzino più i sepolcri imbiancati di chi ha il coraggio delle proprie idee. Spero, a questo punto, che “Pd unitario” non significhi “Pd unanime”, del pensiero unico, un partito in cui chi la pensa diversamente è considerato un nemico.
Qualcuno mi considera “quello che sta sull’uscio” o per citare la Bindi “quello che minaccia di rimanere”. Devo ammettere che quando si avverte questa insofferenza e questa supponenza viene il sospetto che sulla paura che me ne vada in qualcuno prevalga la speranza che questo accada davvero.
 
I cattolici, i Popolari, provano ancora nel Pd quel disagio che aveva portato ad alcune recenti uscite eccellenti?

Sì, ma abbiamo la modestia e la presunzione di portare una visione diversa della politica.
Io difficilmente getto la spugna, sono ostinato e voglio cambiare il Paese cambiando il Pd. È una battaglia nel partito.

Perché ha invitato il segretario a “razzolare bene”?

Perché aspetto risposte serie, la mia posizione è chiara, non pongo un problema organizzativo. Bersani dice di aver sempre razzolato bene. Invidio quelli che pensano di aver sempre fatto la cosa giusta…

Come guarda ai lavori di Todi, al progetto di Casini di un soggetto più ampio al centro?

Penso che sia un’intuizione estremamente utile che possa fungere da alleato solido per il Pd e che favorisca il bene comune e l’Italia del domani.

Non è tentato di entrare a farvi parte?

Come si dice: “la tentazione è l’anticamera del peccato”… in politica però vale anche il detto “mai dire mai”. Non sono il mago Otelma e non faccio previsioni, alcune cose sono nelle nostre mani, altre no.

Da ultimo, alcune domande all’ex ministro della Pubblica Istruzione. Innanzitutto un commento all’espressione usata da Bersani nei confronti della Gelmini…

 

 

La politica ha bisogno di credibilità e di reciproco rispetto, bisogna sforzarsi di non andare mai sopra le righe, neanche in maniera ironica. E lo dice uno che non ha mai risparmiato critiche alla Gelmini…

Tra il suo lavoro e quello dell’attuale ministro trova dei punti di continuità?

In un certo senso sì, ma solo perché ha preso a piene mani molte delle mie idee. Se guardiamo, ad esempio, alla riforma degli istituti tecnici, sono costretto a dire che le riforme si fanno per i nostri figli, non per risparmiare soldi. Purtroppo questo è diventato il il faro della Gelmini. Se non si investe almeno 150 milioni di euro per tre anni come si passa dal tornio ai laboratori avveniristici? Con la bacchetta magica? Come si aggiornano i docenti? 

Lo stesso discorso vale per l’Università?

Sono convinto anch’io che vada cambiata. Da medico però voglio ricordare al ministro che per guarire il paziente bisogna prima di tutto mantenerlo in vita. La sua riforma invece fa entrare in coma il 50% degli atenei e ne manda in asfissia il 25%. Non si può fare una riforma solo per quel quarto di Università che riesce a sopravvivere.

E sulla proposta di ieri di un rientro in aula il primo di ottobre?

Strano che chi si dichiara federalista non sappia che per il calendario scolastico la competenza spetta alle Regioni. Bisogna sedersi al tavolo con loro, evitare di scendere sotto i 200 giorni di scuola e rendere compatibili i bisogni dei figli con quelli della famiglia e del sistema Paese. Così si affrontano i problemi, non con queste proposte estemporanee e sciatte che non ci portano da nessuna parte.

(Carlo Melato)