Che il governo intendesse porre la fiducia sul ddl intercettazioni, era nell’aria. Un’eventualità che ieri pomeriggio il ministro Elio Vito ha confermato. Oggi dunque il governo ricorre alla fiducia, e lo fa su un maxi-emendamento che riassume il contenuto del ddl più controverso degli ultimi tempi. Del resto le dichiarazioni di Berlusconi parlavano chiaro: la sovranità – ha detto l’altro giorno il premier – non appartiene più al popolo, ma ai pm. Il capo del governo vuole chiudere al più presto la partita, e l’accordo raggiunto senza “danni” con la componente finiana della maggioranza, che ha puntato i piedi sulla modifica delle parti più suscettibili di essere lette come difesa della legalità e lotta al crimine, offre adesso l’opportunità di farlo.
Il sussidiario ha parlato del disegno di legge con Gaetano Pecorella, avvocato penalista ed esponente del Pdl. Avevamo raggiunto Pecorella al telefono nel primo pomeriggio di ieri, quando ancora non si sapeva del voto di fiducia, e lo spazio per un intervento sul ddl forse c’era ancora.
«Credo che la scelta di non blindare il testo – aveva detto Pecorella – sia opportuna. Come si è visto, se questo testo fosse stato blindato nella prima versione probabilmente avrebbe contenuto qualche svarione che lo avrebbe reso di sicuro incostituzionale. Il testo è stato molto migliorato, reso più equilibrato, ma con qualche punto che si può ancora discutere». Ne è convinto, professore? «Sì, la discussione è aperta fino alla fine. Non siamo di fronte ad un provvedimento che impegna l’attività di governo, come la finanziaria, ma ad una legge che riguarda il buon funzionamento della giustizia. Credo che in questo caso il governo dovrebbe avere più un ruolo di mediazione e di approfondimento che non di blocco».
Ieri però le cose sono andate diversamente. Abbiamo richiamato Pecorella in serata, informandolo dell’ultima decisione dell’esecutivo. «Voterò la fiducia al governo – ha detto l’esponente del Pdl – anche se ci sono degli aspetti che non mi convincono del tutto».
Cosa pensa del «punto di equilibrio» raggiunto dentro la maggioranza sul ddl ultima versione?
La legge ha trovato un buon equilibrio tra l’interesse alla riservatezza e quello a che le notizie siano in qualche misura di conoscenza pubblica. Credo però che qualche passo in più si sarebbe potuto fare. Prendiamo il termine di fine delle intercettazioni: non tiene conto che un’eventuale proroga non può essere legata a tre giorni in più piuttosto che a due, dovrebbe esserlo invece rispetto ad un evento particolare che è assolutamente necessario intercettare.
Ad esempio?
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Se in una conversazione una delle parti dicesse all’altra: «ti consegno la droga tra sette giorni, e ti dirò allora dove e quando», teoricamente, siccome nei termini previsti successivi non accade nulla, avremmo l’impossibilità di una proroga di tre giorni. Il che francamente è del tutto irragionevole.
Quale altro punto secondo lei avrebbe avuto bisogno di una revisione?
Quello relativo alla distinzione, che secondo me non è molto sensata, tra reati di mafia e terrorismo e altri reati ai fini dell’intercettazione. Credo che scoprire l’autore di una truffa che ha mandato in rovina un’impresa o una persona non sia meno importante, ai fini della giustizia, che scoprire un capomafia. Dal punto di vista degli interessi individuali che devono essere tutelati, la situazione del cittadino è la stessa.
Altra polemica riguarda la norma transitoria: il tetto di durata delle intercettazioni, anche se già autorizzate, si applica ai procedimenti pendenti. È un escamotage del governo per proteggere se stesso dalle indagini?
Penso che la norma non sarebbe nemmeno necessaria, perché è una regola generale della procedura penale che la norma procedurale entri immediatamente in funzione e si applichi anche ai processi in corso. Tempus regit actum, come si dice. La vedo allora come noma transitoria fatta probabilmente per chiarire o addirittura limitare la regola generale. Perché anche le intercettazioni in corso se non ci fosse questa norma dovrebbero terminare nei 75 giorni previsti.
Le sanzioni pecuniarie previste per gli editori hanno suscitato feroci polemiche.
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Ora l’editore quanto più fa gossip quanto più incassa e quindi l’entità delle sanzioni previste non mi scandalizza. Le sanzioni però dovrebbero essere proporzionali al numero di copie vendute, così come era nella proposta che fu formulata da Tenaglia e da me nella scorsa legislatura e che la Camera aveva approvato all’unanimità.
Ora però si presenta per l’editore il problema di prevedere un comitato di garanti che controlli quello che viene pubblicato. Che ne pensa?
Il controllo farebbe venire completamente meno l’autonomia e la libertà di stampa del direttore e dei giornalisti. È un problema che non può non essere affrontato, e che il ddl non affronta e non risolve.
Ma secondo lei cosa leggeremo sui giornali fino al momento dell’udienza preliminare, cioè fino al momento in cui si potrà dire qualcosa di quello che si è intercettato?
Con questa legge, ben poco. Avremo da un lato la salvezza e la tutela di cittadini innocenti, i quali si vedono aggrediti e spesso anche distrutti nella loro onorabilità prima che qualunque verifica sia stata fatta sulla fondatezza della notizia di reato e anche sul significato di alcune possibili intercettazioni; dall’altro una società tenuta all’oscuro di quello che può succedere a livello della giustizia.
Che cosa intende?
Non c’è di mezzo solo la valutazione del comportamento di persone pubbliche: l’eventualità per esempio che un politico, pur avendo commesso un reato, si ricandidi senza che l’opinione pubblica abbia elementi per giudicare. C’è anche un problema di garanzia sul comportamento della magistratura: il fatto cioè che una persona venga arrestata, e non ci sia alcuna possibilità di stabilire se questo arresto è illegittimo perché la telefonata intercettata non aveva alcun significato di rilevanza penale. Sono cose di cui non si è tenuto debitamente conto.
(Federico Ferraù)