La manovra correttiva si appresta ad affrontare l’iter parlamentare per la conversione del decreto legge del Governo. Non sarà un cammino facile. Infatti, dopo che le Regioni la scorsa settimana hanno fatto sentire le loro rimostranze verso i tagli voluti da Tremonti, sabato il Partito democratico ha presentato ufficialmente una serie di provvedimenti che intende portare come emendamenti al decreto legge. Nel complesso si tratta, come spiega Francesco Boccia (Coordinatore delle Commissioni Economiche del Pd), di una vera e propria manovra alternativa, soprattutto per far sì che vi sia “una nuova redistribuzione delle risorse e dei redditi nel paese”.



Onorevole Boccia, i tempi e i modi con cui il Partito Democratico ha presentato sabato le sue proposte in tema di economia, lasciano pensare che si tratti di una vera e propria contro-manovra. È così?

Le nostre proposte costituiscono una manovra completamente alternativa. Riteniamo infatti che l’intero assetto della proposta governativa non abbia senso. È bene ricordare innanzitutto che si tratta di una manovra correttiva: la vera finanziaria (che ora si chiama legge di stabilità) ci sarà a settembre. Ed è bene anche ricordare che ad aprile sia Berlusconi che Tremonti avevano detto che non c’era bisogno di alcuna manovra correttiva. Vuol dire allora che le previsioni fatte si sono rivelate sbagliate. Inoltre, il provvedimento dell’esecutivo è depressivo e scarica sulle Regioni e sugli enti locali la responsabilità dei tagli.



In che senso?

Chiedere alle Regioni tagliare 15 miliardi su 25 è un’operazione politica troppo facile ed è deresponsabilizzante per il governo centrale. L’idea di fondo è di dire alle Regioni di tagliare le loro spese e se non sono in grado di farlo (cosa molto probabile) di aumentare la pressione fiscale a livello locale. Pensare che attuare tagli trasversali alle Regioni significhi tagliare la spesa pubblica è da ingenui, oppure si sta solo cercando di aggirare il problema. Siccome Tremonti non è ingenuo, sta dicendo alla Regioni: tagliate voi e se non ne siete capaci, aumentate voi le tasse, così non lo faremo noi.



Dunque appoggiate la protesta delle Regioni emersa la scorsa settimana?

Siamo totalmente d’accordo. E non è un caso che due personaggi politicamente diversi come Formigoni ed Errani siano d’accordo su questo punto.

Una delle lamentele forti di Formigoni, però, è che questi tagli non facciano distinzioni tra Regioni virtuose e “sprecone”. Cosa ne pensate?

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La richiesta di Formigoni è razionale, ma andrebbe inserita come principio al tavolo sul federalismo fiscale. In tale riforma infatti è insito il meccanismo di premiare i virtuosi. Applicarlo oggi anche alla manovra correttiva può avere senso fino a un certo punto. Chiederei a Formigoni di essere collaborativo, come lo è stato spesso sul tavolo delle riforme, in modo da portare in porto al più presto la riforma delle entrate fiscali locali. Noi del Pd proporremo poi l’istituzione di un albo (o meglio di un casellario) in cui iscrivere i nomi di sindaci, presidenti di Province e Regioni, assessori che mandano in dissesto i conti, in modo che non possano essere più ricandidabili.

 

Tornando alla manovra, c’è da dire che non contiene solo tagli alle Regioni, ma anche alla Pubblica amministrazione.

 

Contestiamo la logica anche di questa parte del decreto legge. Siamo passati dai tetti imposti dal Governo Prodi ai tagli trasversali. E questi colpiscono i dipendenti pubblici e i funzionari con il blocco degli aumenti degli stipendi, mentre non si interviene sui più alti dirigenti ministeriali che magari guadagnano cifre superiori al milione di euro. Si tratta quindi di un provvedimento iniquo. Gli alti dirigenti non dovrebbero guadagnare più di 500.000 euro, che mi sembra una cifra più che sufficiente.

 

Mi par di capire che la vostra proposta sia quella di distribuire più equamente il carico dei 25 miliardi di euro della manovra.

 

La nostra proposta è una grande sfida al Governo. C’è una lista molto corposa di provvedimenti che consentono una nuova redistribuzione delle risorse e dei redditi nel paese. Chiediamo, per esempio, di far pagare le concessioni pubbliche sul digitale terrestre, che oggi sono gratuite. Vorremmo anche intervenire sul sistema fiscale.

 

Dove in particolare?

 

Vorremmo partire delle rendite finanziarie, escludendo i Bot. Vogliamo infatti portare al 20% l’imposta per gli speculatori, quelli che fanno transazioni da milioni di euro e le chiudono magari in un solo giorno, pagando solo il 12,5% di tasse. Questa è una vergogna, soprattutto se pensiamo all’economia reale, al fatto che un artigiano versa all’erario il 43 % di quel che guadagna dopo aver comprare le materie prime e i macchinari per trasformarle in prodotti. Senza dimenticare che spesso vi sono lunghi tempi di attesa per i pagamenti dei clienti.

 

Avete in mente anche di intervenire sul cuneo fiscale per i redditi da lavoro dipendente?

 

Noi chiediamo la decontribuzione nei prossimi due anni per tutte le imprese che assumeranno disoccupati, i quali, del resto, se rimanessero senza lavoro non genererebbero comunque gettito. Ci sembra anche un buon incentivo alle imprese per assumere a tempo indeterminato, creando un ciclo positivo.

 

Tra le vostre proposte c’è anche quella di un nuovo pacchetto di liberalizzazioni. Di che cosa si tratta in particolare?

 

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In questo campo abbiamo fatto sette proposte. Si va da quelle sui carburanti (per smontare l’oligopolio dei produttori e dei distributori), alla vendita anche fuori dalle farmacie dei medicinali di fascia C (come fatto per quelli di fascia A e B dalle precedenti liberalizzazioni di Bersani), alle autocertificazioni, alla separazione della proprietà della rete gas (Snam) da Eni. Tutti provvedimenti che non hanno necessità di copertura. Si tratta di dare vantaggi a consumatori e cittadini, chiedendo invece ad alcune categorie di rimboccarsi le maniche, come stanno facendo i lavoratori dipendenti delle piccole imprese.

 

C’è stata qualche polemica, per quanto riguarda la manovra, per la mancata abolizione delle province. Che posizione avete su questo tema?

 

Come ha spiegato Bersani, possiamo iniziare ad abolire le province nelle città metropolitane, poi possiamo definire una riforma: se riteniamo che le funzioni delle province siano inutili, possiamo spostare alcuni servizi a livello comunale. Ci sembra comunque che fissare dei criteri legati al numero di abitanti non sia ottimale. Crediamo che sia in ogni caso utile mantenere i confini amministrativi, perché in alcuni casi costituiscono anche un confine identitario (basti pensare a quanto avviene in Toscana per Pisa e Livorno) forte per i cittadini. Anziché affidare l’amministrazione a organi elettivi, si potrebbero studiare degli enti di secondo livello, in modo da ridurre i costi della politica.

 

Questo nuovo disegno sembra riproporre l’immagine di un Pd riformista. Una caratteristica che sembrava persa in questi primi due anni.

 

Sì. Bersani stesso ha chiesto di riformare il paese dalle sue fondamenta, mantenendo ferma una rotta, che è quella della coesione sociale tra le diverse generazioni, tra le diverse forze del Paese.

 

Avete già parlato con le altre forze di opposizione di questi provvedimenti o intendente portarli avanti da soli?

 

Bersani è stato chiaro: noi non parleremo mai male delle altre opposizioni, ma non gli consentiremo più di attaccare il Pd. Questa “contro-manovra” è una proposta del Pd, se loro vogliono parlare di contenuti, di cambiamento del paese, sono i benvenuti. Se pensano di sopravvivere cercando di togliere voti a noi, troveranno un Pd durissimo. Mi riferisco soprattutto all’Italia dei Valori e a Sinistra ecologia e libertà che in questi giorni, più che fare proposte, si sono preoccupate di dimostrare di essere più opposizione di noi. Non è facendo la gara delle opposizioni che si crea l’alternativa alla destra. Lo si fa proponendo (come stiamo facendo noi) un’idea alternativa di società. Di certo penso che la proposta sulla tassazione delle rendite finanziarie troverà d’accordo in parlamento Udc e Idv. Altre proposte possono diventare terreno di confronto nei prossimi giorni.

 

Queste proposte si tradurranno in emendamenti al decreto legge del Governo in sede parlamentare?

 

Si tratta di emendamenti che sono già stati presentati al Senato. In funzione di come si muoverà il Governo decideremo la strategia da adottare alla Camera.

 

E se il Governo porrà la fiducia sul provvedimento?

 

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Noi vogliamo discutere in Parlamento e speriamo che la fiducia non venga posta. In ogni caso, se questa verrà messa sarà per via delle divisioni interne alla maggioranza, che ha già presentato più emendamenti di noi. Noi chiederemo al governo di credere alla nostra disponibilità e siamo disposti a garantire i tempi della discussione per la conversione del decreto.

 

Immagino che siate contrari alla proposta di revisione costituzionale degli articoli 41 e 118 di cui il governo si sta occupando…

 

Lei ha mai visto un italiano che di fronte al problema che ha ogni mattina, magari quello di trovare un lavoro, si preoccupa dell’articolo 41 della Costituzione? Francamente, non si mangia con l’articolo 41 della Costituzione. E lo stesso si può dire anche per un artigiano che vorrebbe sapere solamente come non essere vessato dallo Stato quando svolge la sua attività.

 

Sabato Bersani ha detto che parte della classe dirigente non ha mai prestato attenzione alle proposte del Pd fatte in questi due anni, preferendo dare credito alle “mille balle azzurre” di Berlusconi. A chi si riferiva il vostro segretario?

 

A tutti coloro che si sono conformati a un certo modo di vedere la vita, l’Italia, la società. Si tratta sia di alcune associazioni datoriali che di parti del mondo dell’editoria, non solo quella legata alla famiglia Berlusconi, ma anche quella che passa per libera, ma poi si conforma. Ci sono anche intellettuali che in questi anni hanno girato la testa dall’altra parte, anche nel mondo della sinistra.

 

Domani a Pomigliano d’Arco si terrà il referendum tra i lavoratori riguardo il contratto proposto da Fiat. Pensate che questo tipo di accordo debba restare un caso isolato o che possa essere preso come modello da altre aziende italiane?

 

Deve rimanere un caso isolato se le imprese pensano di utilizzare solo quel tipo di turni, di ritmi, di pause, di analisi della malattia. Può invece diventare un modello se le grandi imprese faranno quello che sta facendo Fiat: nuovi investimenti e rilocalizzazione delle produzioni in Italia. Quando si chiedono dei sacrifici ai lavoratori, bisogna dare loro in cambio garanzie e certezze sul futuro, come sta appunto avvenendo a Pomigliano d’Arco, dove verrà riportata dalla Polonia la produzione della Panda.

 

La vicenda di Pomigliano ha anche mostrato una divisione in seno al fronte sindacale.

 

Penso che sulla vicenda di Pomigliano la Fiom abbia fatto una strumentalizzazione inopportuna. Per fortuna, la Cgil con grande intelligenza ha deciso di appoggiare il sì al referendum che si terrà tra i lavoratori.

 

(Lorenzo Torrisi)

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