Il governo ha davanti a sé diversi scogli da superare, su tutti una manovra da far digerire a Regioni e Comuni, una riforma federale da portare avanti in un momento sicuramente non facile, nonché la patata bollente del ddl intercettazioni. «Nella maggioranza però è palpabile un certo nervosismo dato dalla difficoltà di governare, di lasciare un segno – dice Stefano Folli a IlSussidiario.net -. Se n’è avuta l’ennesima prova con la contrapposizione dei giorni scorsi tra Fini e Bossi. Un contrasto basato sul nulla, l’esistenza della Padania e i suoi confini, che scopre però tensioni irrisolte e pericolose per la stabilità del governo. Soprattutto per la Lega, comunque, il momento sembra davvero cruciale».

Per quale motivo?



La riforma federale va incontro a oggettive difficoltà. Il passaggio dal centralismo al federalismo è un’impresa che nessun paese occidentale ha mai tentato, nemmeno in fasi storiche di benessere economico. Noi ci accingiamo a realizzarlo facendoci carico parallelamente di una manovra economica assolutamente necessaria, che toglie però fondi agli enti locali. Ecco perché il Carroccio rimane spiazzato: come si è visto a Pontida, al momento non ha elementi da offrire al proprio elettorato come pegno per dimostrare la bontà della scelta di stare al governo. In questo quadro, presentare la riforma federale come un’autostrada spianata è però, a mio parere, un grave errore.

Cosa intende?



Diciamo che, al di là delle dichiarazioni propagandistiche tese a sminuire i problemi, per il partito è in corso un ritorno alla realtà che porta con sé inevitabili tensioni. Lo scontro tra governo e Regioni ha poi aperto una dialettica originale che Bossi si ritrova a non poter controllare e che mette parallelamente i governatori leghisti in imbarazzo.

A questo proposito, se la trattativa con i Comuni sembra avviata sul binario giusto, lo stesso non si può dire del confronto tra Tremonti e le Regioni. Secondo Errani sarebbero addirittura pronte a restituire allo Stato le competenze trasferite dalla legge Bassanini…



È il segno che è in corso una trattativa dura. Il problema però non è tecnico, ma politico. Conterà infatti la volontà politica di arrivare a un accordo. È l’esame di maturità di Tremonti, un compromesso difficile da trovare con le parti interessate senza toccare il saldo della manovra.

Secondo Ugo Bertone «la raffica di emendamenti anti-Tremonti presentati all’interno del Pdl ricordano la guerriglia che nel 2004 portò il ministro alle sue dimissioni». Ci sono delle analogie?

In realtà il ministro mi sembra molto più forte di allora, quando aveva competitori all’interno e all’esterno del governo, basti pensare al governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. Oggi riveste un ruolo di garante europeo dei conti ed è il terminale di una politica economica che, anche se corretta, ha comunque lui come referente.

È di ieri l’annuncio degli economisti di Confindustria secondo cui l’economia italiana sarebbe fuori dalla recessione. Avanti con i tagli, dicono, senza dimenticare riforme strutturali che aiutino la ripresa. Un buon segnale dagli industriali per Tremonti e per il governo?

Certamente uno stimolo in più. Secondo gli indicatori, infatti,  l’Italia sta uscendo dalla recessione. Per lo sviluppo economico servono però azioni di altro tipo. È l’invito di Confindustria a completare l’opera, il taglio agli sprechi è solo il primo passo. 

Tornando al nervosismo nella maggioranza, tra il premier e il Presidente della Camera lo scontro continua invece da tempo e in questa fase si sta attorcigliando sul tema del correntismo dentro il Pdl. Ai due non converrebbe una tregua?

Alla tregua tra i due leader non credo molto. A mio avviso però Berlusconi commette un errore nel continuare la sua guerra alle fondazioni e ai gruppi interni al partito. Facendo così fa passare l’idea di un Pdl monolitico che non può esistere se non nella sua fase iniziale. Il correntismo come guerra intestina permanente è certamente da evitare, ma non si può nemmeno sostenere che qualunque articolazione sia negativa. Servirebbe più fiducia nella possibilità che il Pdl possa articolare un serio dibattito al suo interno per potersi allargare meglio alla società.

Berlusconi e Fini li rivedremo contrapposti quando il ddl intercettazioni tornerà alla Camera?

 

La richiesta di Napolitano di dare la precedenza all’economia rispetto al tema delle intercettazioni era di buon senso e fortunatamente è passata. Il ddl però, nonostante il proposito di Berlusconi di far lavorare il Parlamento in agosto, sembra destinato a slittare.
Il premier dovrà farsene una ragione. Napolitano, invece, conferma ancora una volta il suo equilibrio per evitare che le tensioni sfuggano di mano, sia all’interno della maggioranza, sia tra i due schieramenti. Una funzione positiva che il governo farebbe bene a seguire anche in futuro.

Da ultimo, un giudizio sulla vicenda di Pomigliano. Come interpreta il voto dei lavoratori? Qual è la responsabilità della politica in questa nuova fase?

La vicenda di Pomigliano costituisce un vero e proprio atto d’accusa nei confronti della politica che in passato non ha voluto o non ha saputo intervenire per la mancanza di una visione a lungo termine. Ora la politica può solo limitarsi a smussare gli angoli, ma la partita è in mano alla Fiat e ai sindacati che hanno firmato l’accordo.
Per quanto riguarda il risultato del referendum, non capisco chi sostiene che il 63,4% dei consensi non rappresenti un risultato positivo. Se si pensava che la soglia minima fosse l’85% bisognava dirlo subito.

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