Il recente intervento del ministro Tremonti su Il Sole24 Ore del 26 giugno 2010 in tema di libertà di impresa individua una delle più gravi patologie italiane e ne indovina la terapia. La indovina in merito al presupposto e alla sintesi: il nostro Paese si colloca al 78° posto in termini di libertà di impresa, secondo l’ultima classifica del Doing Business 2010 (World Bank). Continuando così in contesto globale – dove, come scrive Tremonti, la competizione non è più «solo tra imprese ma tra interi sistemi» – l’alternativa tra declino e sviluppo. Dove il declino è destinato a consumarsi nei termini di “una dolce morte”. «Se si vuole il declino, basta quindi lasciare le cose come stanno. Se invece si vuole lo sviluppo, si deve cambiare».
I tentativi di cambiare sono stati generosi, portati avanti con intensità e diverse cifre di successo; soprattutto negli ultimi due anni si è fatto davvero molto. Il sistema, tuttavia, non è stato ancora capace di quel salto che i tempi, le imprese e cittadini richiedono. Il sistema italiano è infatti complicato non solo da una atavica e quasi irremovibile resistenza degli apparati e da una intricata frammentazione delle competenze (Stato, Regioni ed Enti Locali).
Il sistema infatti è affossato, anche e soprattutto, da quella radice ideologica fondamentale che Tremonti evidenzia con lucidità: l’idea base dell’antropologia negativa, stigmatizzata nella formula hobbesiana homo homini lupus, tradotta poi – siccome in base a quella formula dei singoli e delle loro associazioni non ci si può fidare – nell’assioma per cui “pubblico” è uguale a “morale” e “privato” è uguale a “immorale”. Se l’uomo è lupo per l’altro uomo, ci vogliono fiumi di regole per ingabbiare l’animale, e tutto si risolve in quel paradosso – lucidamente descritto da J. Carron proprio partendo dall’individualismo hobbesiano in un suo recente intervento – per cui le regole non bastano mai.
Così molti italiani si ritrovano nell’esperienza che è toccata al sottoscritto, che per ottenere una concessione edilizia scopre che occorre praticamente un anno, ma nello stesso tempo viene a sapere che nel nostro Paese esistevano 2 milioni di case fantasma, fatte emergere dalla mappatura area effettuata della Agenzia del Territorio, confrontando poi i dati catastali. In altre parole: pesantissimi controlli ex ante, realizzati appunto con fiumi di regole e procedure; poi controlli ex post quasi nulli, al punto che le case abusive hanno raggiunto quella dimensione (e una casa non nasce dalla sera alla mattina come un fungo).
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Sul versante delle imprese è illuminante leggere il libro scritto da Luigi Furini Volevo solo vendere la pizza dove racconta una storia di opprimente dittatura della burocrazia. D’altra parte nel nostro Paese per avviare un’officina di autoriparazioni occorre sottostare a 76 adempimenti e contattare 18 uffici, per una lavanderia ne occorrono 68 e 20. Libera nos! Una situazione di queste proporzioni ha evidentemente un presupposto ideologico alla sua base: la Fondazione per la Sussidiarietà lo denuncia da tempo. Giustamente quindi Tremonti propone di superare Hobbes per tornare verso un’antropologia positiva, citando al riguardo la concezione di Sant’Agostino di una socialità originaria, di una civitas primaria.
L’ordine sociale di cui parla Agostino nasce dalla socialità propria della natura umana; è un ordine che ha una sua bellezza propria (Agostino, De vera religione 26, 48: «…Habet quippe et ipse modum quemdam pulchritudinis suae»). Non nasce dal peccato originale l’ordine della società; è ferito, come ogni dimensione umana, dal peccato, ma nasce dalla natura umana creata buona da Dio, piena di desiderio e di esigenza di socialità.
Considerata quindi la gravità del problema in termini della necessità di restituire competitività al nostro sistema, considerata inoltre la resistenza che da decenni si è formata su questo e la barriere talebane che tante amministrazioni pongono sul punto, la proposta di una modifica costituzionale appare davvero l’unico antidoto alla patologia italiana.
E’ sensatissimo dire che bisogna agire proprio a livello del Patto costituzionale per fronteggiare la situazione che si è creata, per cambiare orizzonte e aprire una nuova prospettiva, vincolando costituzionalmente sul punto tutti i complicatori hobbesiani. Non si tratta di snaturare i valori della Costituzione, si tratta di aggiornarla: è vero, come ha scritto Onida, che nessuna legge di semplificazione è stata impedita dall’attuale art. 41 della Costituzione, ma è anche vero, come scrive Tremonti, che in base alla formulazione attuale nessuna legge di complicazione ha mai subito una censura di incostituzionalità.