Alla Camera oggi riprenderà in XII Commissione il dibattito sul disegno di legge da tutti conosciuto con il nome di testamento biologico. Dopo oltre un anno di discussioni a cui tutti i membri della commissione, nessuno escluso, hanno partecipato con grande passione e con una forte tensione etica, oggi dovrebbero arrivare i pareri delle altre commissioni, essenziali per portare in aula uno dei disegni di legge più discussi nelle ultime tre legislature. Ma la sentenza appena emessa in Germania non sarà indifferente in quest’ultimo passaggio del nostro ddl.
La Germania solo un anno fa aveva licenziato il suo testo di legge sul testamento biologico fissando due punti chiave: il diritto del malato a rifiutare qualsiasi tipo di cura, anche se salvavita, e il carattere assolutamente vincolante delle volontà del malato. Sembrava un testo di legge equilibrato, anche perché la Germania è sempre molto prudente su questi temi, data la triste memoria del famoso Aktion 4, in cui la dolce morte venne applicata sistematicamente su larga scala. Ma la sentenza di pochissimi giorni fa modifica profondamente la chiave di lettura di quella legge, esce dall’ambiguità e si schiera a favore della depenalizzazione dell’eutanasia.
Assimilando nutrizione e idratazione ad un qualunque trattamento medico, ne consente la sospensione e quindi rende possibile con un rapporto di causalità diretta che il paziente muoia. Perché non c’è dubbio che alcuno che senza nutrizione e idratazione il paziente muore, con una morte più o meno drammatica a seconda dei farmaci che ne attenuano le sofferenze e la rendono più pietosa, più simile al senso stesso delle parole: la dolce morte.
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Il quesito che siamo sollecitati a porci ancora una volta è sempre lo stesso: quale ragione può mai spingere un uomo ad intervenire attivamente per sospendere la vita di un’altra persona? È sufficiente che questa persona abbia manifestato il desiderio di non voler più vivere in determinate condizioni per causarne la morte? Il caso tedesco riguarda concretamente un avvocato che aveva “consigliato” alla figlia di una donna in stato vegetativo da oltre 5 anni, di sospendere la nutrizione della madre “staccando il sondino” che la teneva in vita.
In quel caso i medici, accortisi del gesto della figlia, avevano ripristinato la nutrizione e l’idratazione, e la donna era morta dopo pochi giorni per cause – almeno apparentemente – non riconducibili al gesto della figlia. L’avvocato era stato condannato a nove mesi in prima istanza ed è stato assolto proprio in questi giorni.
Non c’è dubbio che questa sentenza influenzerà in modo non indifferente anche il dibattito italiano, mostrando oltre ogni ragionevole dubbio dove ci può portare l’assimilazione di nutrizione e idratazione a un qualunque trattamento medico, per poi consentire di farne una delle decisioni che una persona può sottoscrivere anche molti anni prima di ammalarsi, vincolando il medico ad una sua stringente applicazione.
La Corte federale di giustizia in Germania si è in definitiva arresa davanti al pressing dei fautori dell’eutanasia, perché non c’è dubbio che c’è una sorta di lobby dell’eutanasia, che in nome del principio di autodeterminazione pretende di imporla a livello di tutte le legislazioni europee.
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L’avvocato Wolfang Putz conosceva bene quali sarebbero state le conseguenze del suo consiglio alla figlia di Erika Kulmer, ed ha voluto creare una volta di più attraverso un caso a forte impatto drammatico le premesse indispensabili per ottenere una sentenza favorevole all’eutanasia, sollecitando la depenalizzazione del reato da lui commesso.
Un reato apparentemente così innocente com’è un consiglio, ma così pesante da convertirsi nella morte della signora Kulmer. Anche su questo rifletteremo oggi in XII commissione, e presto in tutta l’aula del Parlamento. Ci sono ragioni importanti che obbligano ad una prudenza sempre più vigilante e richiedono una chiarezza estrema nei termini giuridici che il ddl utilizzerà. Il punto chiave resta una volta di più il giusto bilanciamento tra volontà individuale, responsabilità del medico e valori di riferimento per l’uno e per l’altro.
E in questa chiave la nostra legge potrebbe contribuire ad invertire una linea di tendenza culturale che, sulla scia di una discutibile pietà e di un ancor più discutibile assolutizzazione della libertà individuale, si sposta sempre più pericolosamente verso una potenziale eliminazione di pazienti non più in grado di intendere e volere.