Lo confesso. Più questa storia del disegno di legge sulle intercettazioni va (si fa per dire) avanti, più io mi sento spaesato. Niente è più lontano da me dall’idea di ostacolare le indagini della magistratura, perché la magistratura la rispetto, eccome, anche se non me la sentirei di dire lo stesso per tutti i magistrati.
E, visto oltretutto che da una vita cerco di fare non eroicamente, certo, ma dignitosamente sì, il giornalista, niente mi è più caro della libertà di informazione. Che, a guardarla dal punto di vista dei cittadini, è la libertà di essere informati, senza la quale non si danno né democrazia né opinione pubblica, ma anche quella di vedere tutelata la propria privacy.
E, a guardarla dal punto di vista chi fa il nostro mestiere, coincide in primo luogo con il diritto-dovere di dare, se hanno qualche interesse, tutte le notizie di cui entriamo in possesso, ma anche di vagliarne le fonti e la sostanza, cercando in ogni modo di non fare vittime innocenti.
Proprio perché la vedo, molto banalmente, così, questo ddl mi preoccupa assai. Spero che abbia ragione Giorgio Napolitano, quando dice che il confronto parlamentare può migliorarlo non poco, e dunque renderlo meno preoccupante. Ma non sono per niente tranquillo lo stesso, come non lo sono tutti i giornalisti italiani.
Il guaio è che, con il passare dei giorni, mi preoccupano sempre di più anche altre cose. Per essere chiari: non le contestazioni ragionevoli all’impianto stesso della legge, oltre che, si capisce, ad alcuni suoi articoli particolarmente inquietanti, ma un certo qual senso comune che si va estendendo e rafforzando nel vasto campo dei suoi oppositori.
Secondo il quale la situazione attuale va benissimo, e la sola idea di regolamentarla altrimenti è deplorevole. Perché i bravi cittadini non hanno niente da nascondere, e quindi, se occorre, non si fanno problemi a essere intercettati e a vedere le intercettazioni che li riguardano lanciate sul web, trasmesse in tv e trascritte sulle pagine dei giornali.
E chiunque dica: mettiamo dei paletti, o qualcosa da nascondere ce l’ha in prima persona, o è solidale, quanto meno “oggettivamente”, con quelli che non vogliono che la verità venga a galla. Tutto questo, è quasi inutile ricordarlo, viene rappresentato come una sacrosanta battaglia democratica per la trasparenza, persa la quale cederebbero tutti gli argini, e ci avvieremmo a tappe forzate verso lo Stato di polizia. Anzi, diciamola tutta: verso il fascismo.
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È a questo punto che il mio spaesamento si fa particolarmente inquietante. Perché, evidentemente sbagliando, sin qui (da vecchio arnese della sinistra e da vecchio garantista: in un tempo lontano tra le due cose non pareva esserci una contraddizione troppo vistosa) avevo sempre pensato che uno Stato eccessivamente occhiuto e un’informazione eccessivamente invasiva, indifferenti ai diritti dei cittadini, poco importa se potenti o brutti, sporchi e cattivi fossero la quintessenza dell’autoritarismo moderno.
Adesso mi sembra di capire che le cose, anche senza scomodare il Grande Fratello, o il circo mediatico-giudiziario, non stiano più così. Che, per placare la sete diffusa di verità e di giustizia, nulla, ma proprio nulla, neanche quel che succede sotto le lenzuola, debba “essere nascosto al popolo”. E che anzi il “popolo” in questione quasi si dispiaccia nel constatare che i fatti suoi molto difficilmente diventeranno di dominio pubblico: fosse per lui, li racconterebbe con dovizia di particolari alla De Filippi.
Messo in mezzo tra l’incudine del ddl sulle intercettazioni e il martello di questo senso comune, non so onestamente che cosa pensare. Ci fosse in giro un po’ di ragionevolezza, si metterebbe da parte questo ddl e, senza concedere nulla al senso comune di cui sopra, si ripartirebbe da capo, cercando di buttar giù insieme, maggioranza e opposizione, non una legge vendicativa, in una direzione o nell’altra, ma delle norme sensate, e garantiste nei confronti di tutte le parti in causa. Qualcuna (niente di eccezionale) ne avrei in mente anch’io.
Per esempio. Nella fase delle indagini preliminari, basterebbe attribuire al magistrato la responsabilità oggettiva del segreto, stabilendo le sanzioni cui andrebbe incontro se il segreto venisse violato, per porre un bel limite al mercato nero delle notizie. E nella fase successiva, quando il segreto non c’è più, non sarebbe male se accusa e difesa, con un giudice terzo, stabilissero quali carte hanno rilevanza per il processo, e sono dunque pubblicabili, e quali no, e vanno quindi non archiviate, ma distrutte.
Potrei proseguire con altre, con simili ovvietà. Ma sono così spaesato che immagino non interessino nessuno. E dunque mi fermo qui.