La manovra economica e il ddl sulle intercettazioni rappresentano per il Governo due scogli molto impegnativi da superare. Le polemiche più accese sembrano però alle nostre spalle,  anche se il clima rimane teso.
«Dopo una prima fase segnata dall’allarmante assenza di Berlusconi – confida Stefano Folli a IlSussidiario.net -, sembra che il premier stia tornando a riprendersi la leadership della maggioranza. Vedremo se dopo il necessario compromesso raggiunto sul tema delle intercettazioni sarà in grado di dare un senso politico alla manovra».



Sulle intercettazioni effettivamente sembra vicino un accordo insperato solo fino a poco tempo fa. È una vittoria della minoranza finiana sui “berluscones” come sostengono in molti, l’ennesima mediazione riuscita da parte di Napolitano o è merito del premier?

Da una lettura sostanziale dei fatti risulta decisivo l’intervento del Capo dello Stato. Osservando i rapporti politici all’interno della maggioranza si può notare la ragionevolezza delle istanze portate avanti da Fini e la scelta di grande opportunità operata da Berlusconi. Eliminando alcuni provvedimenti fuori luogo il premier stempera così la tensione con il Presidente della Camera e rimette il rapporto con il Presidente della Repubblica sui binari della sintonia.



Ha giocato un ruolo positivo in questa mediazione l’asse Gianni Letta-Massimo D’Alema di cui hanno parlato i giornali?

È plausibile che il Presidente del Copasir abbia lavorato a un’intesa sul delicato aspetto relativo agli agenti segreti. Un accordo che non cambia il giudizio complessivo dell’opposizione su questa legge, ma che aiuta certamente a migliorare il clima politico.
 
Il fatto che la sinistra non appoggi lo sciopero dei magistrati rappresenta secondo lei una svolta?

 

È un fatto che è giusto sottolineare anche se vorrei qualche elemento di conferma in più. Sarebbe certamente positivo se la sinistra riuscisse a esprimersi politicamente senza essere condizionata dalla propria vicinanza alla magistratura.



Passando alla manovra, il confronto televisivo tenutosi a Ballarò tra Tremonti e Bersani, ha offerto qualche elemento in più per comprendere come mai i due schieramenti non riusciranno a trovare un accordo su questo tema

Penso di sì. L’opposizione sta perdendo una grande occasione, quella di partecipare attivamente a una manovra indispensabile, a un passaggio decisivo della nostra storia. Come testimonia lo scontro interno al Pd tra Pier Luigi Bersani ed Enrico Letta, più per mancanza di volontà che per incapacità, il Partito Democratico ha rifiutato di confrontarsi in modo più complesso sui nodi e i costi sociali che la crisi pone. Facendo così però, ancora una volta tutta la dinamica politica tende ad esaurirsi all’interno del perimetro del centrodestra e l’opposizione rimane esclusa dalla partita. Il caso D’Alema di cui parlavamo prima rimane perciò un’eccezione.

Il Presidente del Consiglio e il Governo in generale saranno in grado di riconvertire il proprio messaggio una volta chiusa la stagione dell’“ottimismo berlusconiano”?

Non so se saranno in grado, ma è indispensabile. La manovra deve essere pensata e presentata come parte di un grande progetto di liberalizzazione della società italiana, una profonda riforma economica del Paese. Questo aspetto per ora manca ed è il caso di rimediare. L’unico che può farlo però è Silvio Berlusconi. Inizialmente è stato assente e ha consentito a Tremonti di rubargli la scena. Ora sembra pronto a tornare in prima linea, a riaffermare la propria leadership e a trovare una nuova sintesi politica. Certo, il discorso a Confindustria conclusosi con un mezzo autogol è stata la prima occasione sprecata. 

Gli ultimi segnali di nervosismo del Cavaliere, come la citazione di Mussolini all’Ocse o l’intervento telefonico in diretta tv sui sondaggi, sono il segno di questa “assenza”, di questo iniziale appannamento?

 
 

Direi di sì. Per tenere insieme una maggioranza così complessa però il nervosismo deve finire in fretta, serve un "Berlusconi bis". C’è infatti una forte componente leghista pronta ad espandersi e ad essere sbrigativa nelle richieste (vedasi il taglio agli enti culturali o il veto sul taglio delle province). Non è certo un lavoro che può fare Tremonti.
Al di là dell’opportunità politica non è più il caso di citare Mussolini per lamentare una mancanza di potere. Questo vittimismo è incongruo con i tempi che corrono.

A proposito di Lega Nord, secondo lei, il sovrapporsi della manovra alla riforma federale accelera o blocca il federalismo? I costi di questa “rivoluzione” sono sostenibili nel breve periodo?

Osservando l’esperienza italiana penso che un problema di costi ci sia, anche se quando lo si fa notare sia il Carroccio che Tremonti si irritano molto. Penso che i risparmi e una migliore efficienza siano sicuri in prospettiva, ma bisogna aspettarsi dei costi transitori per chiudere vecchi centri di spesa e aprirne di nuovi. Per il Governo invece questa riforma rappresenterà solo un risparmio, fin dal primo giorno. Visto che si ragiona in termini vaghi e si procede per atti di fede più che per percorsi economici definiti sia l’esecutivo a dimostrare nei fatti di avere ragione. Se sbaglia però l’aumento dei costi non sarà sopportabile.

Lo schema dell’attuale centrodestra basato sull’asse Lega-Tremonti è destinato a tenere? Il partito di Bossi teme un ritorno dei centristi?

 

Il riavvicinamento di Casini è un processo complicato, non mi sembra, per intenderci, “sull’uscio di casa”. Potrebbe verificarsi all’indomani di una crisi di Governo, con una nuova maggioranza guidata da Berlusconi, ma determinata da nuovi equilibri interni. Ovviamente la Lega non vede di buon occhio quest’ipotesi. Ancora una volta però emerge un’esigenza di leadership: l’“equilibrio instabile” del centrodestra si regge solo se Berlusconi svolge veramente il suo ruolo di leader, come le spiegavo prima. Se non lo fa, la Lega diventa troppo forte e gestire il rapporto con l’Udc diventa complicato.

Da ultimo, lei crede a un “negoziato” tra Fini e Berlusconi che metta fine alle divisioni nel Pdl? Pare che il Presidente della Camera abbia auspicato un passo in avanti per non rimanere ancorati al “fermo immagine dell’ultima direzione nazionale”

Come non credevo alla rottura definitiva tra i due, non credo a chissà quali riconciliazioni. Se Berlusconi rimarrà saldamente il leader del Popolo della Libertà anche nella prossima legislatura, a mio parere, Fini uscirà dal partito. Se ci riferiamo al presente, invece, Presidente della Camera e Presidente del Consiglio sono nello stesso partito e sono costretti, per ragioni politiche e istituzionali, a continui compromessi. 

(Carlo Melato)