Il Governo sta attraversando uno dei momenti più delicati della legislatura. Manovra economica e ddl intercettazioni sono due scogli difficili da superare senza conseguenze negative in termini di unità dello schieramento e di consenso popolare.

Proprio sul tema del gradimento degli italiani nei confronti dell’esecutivo e del premier, settimana scorsa a Ballarò si è consumato uno scontro in diretta telefonica tra il Presidente del Consiglio e gli ospiti in studio (tra cui lo stesso ministro Tremonti). Secondo Berlusconi i sondaggi di Nando Pagnoncelli (Ipsos) che evidenziavano un calo dei consensi del governo sarebbero “fasulli” e smentiti da una ricerca di Euromedia, secondo la quale la popolarità del governo sarebbe invece al 50% e quella del premier addirittura al 62%.



«Non seguo la televisione e di politica non me ne intendo – scherza Nicola Piepoli discutendone con IlSussidiario.net -. Certamente non voglio polemizzare con Pagnoncelli, che è un signor ricercatore con cui mi sono confrontato tante volte nel corso della vita e che, in pratica, ho visto nascere». Ma dai dati in suo possesso, come se la sta passando il Governo in termini di popolarità? «Dipende tutto dal tipo di domanda che viene posta ai cittadini».



Cosa intende dire? «Le spiego, settimana scorsa abbiamo rivolto agli italiani due domande diverse per avere un’idea del gradimento dell’opinione pubblica sulla manovra. Prima una domanda “agnostica”, senza nessuna area influenzativa, poi facendo riferimento al parere positivo di Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia. La differenza è stata di 10 punti percentuali. Questo significa che formulando le domande in maniera leggermente diversa si possono spostare le opinioni di 5 milioni di italiani. Ecco perché le risposte di Pagnoncelli sono senz’altro compatibili con quelle dell’Euromedia Research citate dal premier». 



 

Non ci sono delle domande “standard” per influenzare il meno possibile gli intervistati? «Certo, per monitorare la confiance e poter confrontare la fiducia degli americani in Obama con quella degli italiani in Berlusconi usiamo dei modelli. Per tradurre correttamente i quesiti sostengo delle riunioni interminabili con i miei collaboratori, Devoto Oli alla mano, tanto per farle capire quanto sia importante la fase che precede l’indagine».

Chiarito dove si nasconde l’equivoco e passando ai dati: gli italiani sono pronti ai sacrifici che la manovra impone? Sono abbastanza informati su questa materia? «I cittadini sono molto più attenti di quanto si pensi e la popolarità del governo non è scesa. In questa settimana, anzi, premier e governo sono leggermente saliti. L’ampiezza di questa fiducia la potrà dire Berlusconi citando l’Istituto Piepoli o Euromedia».

A quanto corrisponde la percentuale degli intervistati favorevoli alla manovra? «Come abbiamo pubblicato su La Stampa il 44% è favorevole e il 42% è contrario. Il 14% non ha espresso un’opinione. Aggiungo che tra i favorevoli la maggior parte pensa che questo provvedimento taglierà principalmente gli sprechi inutili dello Stato e che era un dovere nei confronti dell’Unione Europea. I contrari pensano invece che gli unici a pagarne le spese saranno i lavoratori. Detto questo, devo dire che in Italia nascono delle polemiche sui sondaggi che negli altri Paesi non si sognerebbero nemmeno».

Cosa intende? «Palazzo Chigi ha come logico i suoi istituti fornitori, d’altro canto per un istituto di ricerca avere come cliente la Presidenza del Consiglio non è peccato. Non stiamo parlando di angeli o demoni. Ciò che dico mi sembra abbastanza banale, evidentemente però per molte persone non è così. Sembra strano che un presidente commissioni delle ricerche anche se è da più di trent’anni che questo accade».

All’estero non è così? «Solo per fare un esempio: l’Elysée fa il doppio delle ricerche di Palazzo Chigi e in Francia è normale aprire un telegiornale con i risultati di un sondaggio. Gli istituti hanno una credibilità assoluta, è così dai tempi di De Gaulle, il quale sosteneva di voler conoscere l’opinion, decidendo poi autonomamente cosa fare per il bene della Francia».