«Il clima giacobino e giustizialista nel quale alcuni stanno cercando di far ripiombare il nostro Paese non è d’aiuto. Impedirò il ritorno a un passato che gli italiani non vogliono più». Con queste parole, ieri sera, Silvio Berlusconi è sembrato voler reagire a una delle fasi più difficili e confuse di questa legislatura. Le divisioni interne tornano a emergere in tutta la loro complessità, alimentate da nuove inchieste giudiziarie, gli attriti irrisolti si ripropongono con maggiore forza, mentre tornano all’ordine del giorno nuovi scenari di larghe intese, fino a poco tempo fa inimmaginabili. «Quello del premier – dice Stefano Folli a IlSussidiario.net – è uno sfogo da leggere in un’ottica interna allo scontro nel Pdl. È l’ennesima tappa del duello con Fini, anche se si sta spostando su un terreno sempre più scivoloso».



Cosa intende?

Berlusconi soffre moltissimo la “tattica del carciofo” della minoranza finiana che ogni giorno stacca una foglia e attacca quella successiva. Davanti all’ultima offensiva dei finiani per il premier non sembrano esserci alternative: o accetta le dimissioni di Cosentino (e di tutti gli altri) o le rifiuta e rischia la sfiducia. Per ora sembra solo in grado di alzare la voce, minacciando epurazioni, in realtà non sa come evitare che la questione morale esploda.

Secondo lei non cederà?



No, anche se fare quadrato attorno a Cosentino, personaggio su cui è difficile prevedere cosa potrà ancora venir fuori, è molto pericoloso. Berlusconi però non vuol cedere alle pressioni esterne e così presta il fianco agli uomini di Fini sul tema della legalità.
C’è da dire che se fossimo in un momento “normale” della storia politica italiana, al di là delle responsabilità penali, un politico che finisse in una situazione di questo tipo, per ragioni di pura opportunità politica, darebbe le dimissioni.

Mentre il logoramento interno continua, il “riavvicinamento” di Casini cosa può comportare?



 

Intanto è evidente a tutti che ad oggi non ci sono possibilità reali di vedere un governo di unità nazionale. Casini però ha posto un problema e ha smosso le acque della politica italiana: l’opposizione ha dovuto svegliarsi dal torpore, mentre la Lega ha dimostrato di essere un partito nervoso, inquieto, certamente molto meno sicuro di quanto non lo fosse in passato.

Da cosa lo si deduce?

Piccoli e grandi indizi che dimostrano come la sua influenza non sia più così incontrastata: basti pensare alla battaglia di Formigoni, al cambio di rotta sul tema delle quote latte del ministro dell’agricoltura Galan o al dinamismo di Casini. Il cammino del federalismo si è poi decisamente complicato. Per il Carroccio è un momento di grande appannamento in cui sembra più difficile tenere a bada il proprio elettorato.

Dietro la proposta di Casini c’è Berlusconi? Crede a chi vede nell’operazione l’estremo tentativo di limitare Fini?

È un altro dei paradossi della maggioranza. Berlusconi vuole sicuramente recuperare Casini, ma questo desiderio si scontra con la realtà. Casini non è disponibile a un ingresso nella maggioranza, vuole la crisi di governo, ma Berlusconi non pensa proprio. a dimettersi L’idea che Berlusconi possa invece usare il leader Udc per limitare il Presidente della Camera non è più credibile.

Per quale motivo?

Casini e Fini non possono definirsi due alleati, ma oggi hanno sicuramente interessi convergenti. Berlusconi non può più metterli uno contro l’altro, come aveva fatto in passato.

Come si spiega?

 

Probabilmente Berlusconi non si è reso conto di essersi indebolito seriamente in questi mesi. Se ti indebolisci, in politica, hai meno spazio di manovra. Ai tempi del predellino Berlusconi era molto forte, tanto da trascinare con sé Fini nel Pdl, nonostante l’accordo tra lui e Casini. Oggi non è più in grado di farlo.
Molti altri segni certificano questa debolezza, pensiamo al mancato accordo con le Regioni dopo una trattativa sottovalutata e condotta male o al pasticcio sulle intercettazioni. In lui convive il grande desiderio di sistemare tutto con elezioni anticipate, ma rimane alta la paura di dare le dimissioni e perdere il pallino del gioco.

È la debolezza di Berlusconi a causare tutta questa confusione nel quadro politico? Stiamo vivendo un anticipo di post-berlusconismo?

Diciamo che finché la leadership personale tiene tutto si ricompone, se questa scricchiola emergono i difetti del sistema. Incide molto anche la debolezza del nostro equilibrio istituzionale che non è stato sanato da riforme serie. C’è però un altro fattore che rischiamo di dimenticare.

Quale?

Il consenso. Forse anche per l’assoluta incapacità dell’opposizione, il consenso è ancora con il Presidente del Consiglio. Forse è la prima volta che si manifesta in maniera così evidente la frattura tra una gestione politica difficoltosa e un così grande seguito nel Paese. Una divergenza per certi versi anche pericolosa: Berlusconi è troppo debole per ottenere lo scioglimento delle camere, ha paura di non riuscire a tornare davanti al popolo, ma sa che il popolo è ancora dalla sua parte. 

Secondo il Card. Bagnasco questa confusione ha come origine la crisi del “consenso intorno al bene comune” e dell’“affezione per la cosa pubblica” a favore di “beni di piccolo cabotaggio senza prospettiva alcuna”.

Sono le più belle parole per cercare un punto da cui ripartire in mezzo a tutta questa confusione.