Il quadro politico è in subbuglio. Se il “caso Brancher” poteva sembrare un incidente di percorso, l’affare “Cosentino” e le inchieste di cui si parla da giorni rendono bene l’idea del difficile momento che sta attraversando la maggioranza. L’ipotesi di un governo di “larghe intese” prende piede giorno dopo giorno, anche se per ora solo sui giornali.
Pier Luigi Bersani, appena rientrato dall’America, discute con IlSussidiario.net il delicato momento del Paese e pone le sue condizioni per l’apertura di una nuova stagione politica.
Segretario, che Paese ritrova al ritorno dagli Stati Uniti?
La situazione è più o meno la stessa, se possibile con un deterioramento. Difficile essere ottimisti, servirebbe un governo forte e capace di operare, date le difficoltà che ci attendono. Vedo invece evidenti linee di frattura nella maggioranza, guai in corso, guai in arrivo e nessuna prospettiva di miglioramento. Le indicazioni che porto a casa dall’America sono chiare: dovremmo concentrarci sulle questioni sociali, sulla disoccupazione e sulle riforme. All’orizzonte però non vedo niente di tutto questo.
Siamo alla fase finale del berlusconismo?
Diciamo che è iniziato il secondo tempo. Non faccio pronostici, ma da mesi è indiscutibile l’assoluta incapacità di Berlusconi di andare avanti, di dare una prospettiva al Paese. Ogni giorno che passa perdiamo l’orizzonte. Non è un’opinione è un dato di fatto, non possiamo più permetterci questo tran tran.
Chi condivide le sue premesse da giorni ipotizza governi di “larghe intese”. Lei però non condivide l’ipotesi di Casini.
C’è da dire che siamo ancora nella fase delle affermazioni giornalistiche. Detto questo, se da un lato registro con piacere la consapevolezza del leader dell’Udc riguardo ai limiti di questo esecutivo, dall’altro penso che aprire la transizione affidandosi nuovamente a Berlusconi sia un’idea piuttosto bizzarra.
Si può prescindere dal consenso che il premier ha nel Paese e dal mandato che ha avuto dagli italiani?
Avrà avuto anche il consenso, ma se siamo arrivati a questo punto significa che ha fallito. È certamente la maggioranza che deve dirci cosa intende fare, ma aver raccontato per anni che nessuno sarebbe rimasto senza lavoro o che la crisi fosse soltanto psicologica è stato un grave errore. Un messaggio completamente sbagliato per il Paese, che oggi ci lascia disarmati.
Se questa nuova fase non può essere guidata da Berlusconi, con quali anime del centrodestra sarebbe invece disposto a sedersi a un tavolo: con la destra legalitaria di Fini, con la Lega, col ministro Tremonti…?
Le uniche forze del centrodestra con cui sarà possibile discutere saranno quelle che avranno il coraggio di ammettere come stanno davvero le cose. Chi di loro si prenderà la responsabilità di dire che la maggioranza non è in grado di andare avanti, nonostante i 100 voti in più? Questo è il punto. Un’altra cosa poi deve essere chiara.
Quale?
Questa fase, anche se transitoria, dovrà aprire un percorso nuovo. Per questo ripeto da giorni che “dovrà essere un altro film” e, aggiungo, con un altro protagonista.
Se però nessuno fa questo passo facciamo solo chiacchere inutili. Non mi stupirei più di nulla, comunque, neanche se qualcuno, in un eccesso d’irresponsabilità, decidesse di tirare avanti come se niente fosse.
Un’ipotesi addirittura peggiore del voto anticipato?
L’opzione delle elezioni anticipate non è mai desiderabile, ma trascinare i problemi senza poter mettere mano a niente sarebbe ancora peggio.
Ma da chi si aspetta maggiormente questo passo?
Non saprei, per ora prendo solo atto del fatto che nessuno ha ammesso il problema. Le linee di rottura rimangono però evidenti: Fini propone un modo diverso di intendere il governo, la legalità e i diritti civili. La Lega, invece, tradisce il proprio nervosismo perché il Nord ha capito che ha ottenuto soltanto il “federalismo delle chiacchere”. Dietro ai tagli lineari di Tremonti alle Regioni, poi, non c’è uno straccio d’idea. Ciò che viene venduto come un duro colpo al “corporativismo regionale” è un taglio ai servizi e non agli sprechi, che renderà la vita impossibile alle regioni in cui si governa bene, aprendo un altro fronte.
Noi, comunque, siamo pronti a considerare la situazione solo se si mette in movimento nel senso che spiegavo prima.
L’ipotesi del voto, anche se remota, costringerebbe il centrosinistra ad accelerare di parecchio la costruzione dell’alternativa di governo. Oggi in molti ne sottolineano invece l’assenza…
C’è molto da fare nel campo dell’opposizione, non c’è dubbio. Detto questo, leggo giudizi ingenerosi e conformisti da parte di commentatori un po’ superficiali. Se uno avesse la pazienza e la bontà di leggere le nostre proposte capirebbe il tema non è la mancanza di idee, ma l’impossibilità di discuterle.
Vuole replicare all’editoriale di Ostellino che sul Corriere ha parlato di un “partito che non c’è”?
Non so se sia il caso di rispondere, perché non mi sembra che ci sia l’intenzione di fare critiche costruttive. Prendiamo però la nostra contromanovra. Non ha avuto alcuna possibilità di essere discussa in Parlamento, perché è stata posta la fiducia per l’ennesima volta. Questa dovrebbe essere la notizia. Il fatto è che in molti denunciano le limitazioni all’informazione e alla discussione democratica che il berlusconismo ha introdotto, ma poi non riescono a capire come questo limiti concretamente il raggio d’azione dell’opposizione.
Quali erano le vostre proposte?
Quattro misure decisive su benzina, farmaci, professioni e costi bancari. Quando il governo però non garantisce le condizioni minime di discussione parlamentare il problema si fa serio. Sarà anche fuori moda, ma il Parlamento resta il luogo della libertà di tutti. Se lì dentro non c’è libertà sarà difficile che ce ne sia nel Paese.
Al centrosinistra manca solo questo?
Certo che no, c’è un grosso lavoro da fare. Stiamo elaborando un programma su: lavoro, fisco, immigrazione, università, giustizia. Non possiamo sederci sulle nostre vecchie idee e questa volta l’alternativa dovrà dare garanzie di coerenza sul programma. Ci potrà poi essere un cerchio più largo di convergenza, con quelle forze preoccupate fondamentalmente dal tema democratico-istituzionale, anche se non interessate ad accordi di governo.
Il cerchio più “stretto” va da Casini a Di Pietro?
Diciamo che questo sforzo di sintesi riguarda tutte le forze di opposizione presenti in Parlamento (e non solo) interessate a un programma coerente di governo. La sfida è grande, ma la situazione spingerà tutti a lavorare con più convinzione e rapidità.
Da ultimo, la questione morale interroga la politica, al di là degli schieramenti. Come se ne esce?
Facciamo una distinzione. Il tema della correttezza e della sobrietà è un tema che deve interrogare tutti, non c’è dubbio. Nella maggioranza c’è però una particolarità.
Quale?
Si è creato un meccanismo basato sul ghe pensi mi, sulla concentrazione del potere in un uomo solo. All’ombra di questa figura che garantisce il quadro generale, senza meccanismi di partecipazione, si sono costituite cordate e cordatine, meccanismi paralleli molto esposti, diciamo così, a questioni di corruttela. D’altronde questo governo, contro il nostro parere, ha sempre dato spazio eccessivo a legislazioni speciali, derogatorie, soprattutto per quanto riguarda gli appalti. Tutto diventa emergenza, dalla protezione civile ai rifiuti, e con le deroghe si aprono delle vere e proprie autostrade per la corruzione. Su questi elementi strutturali che non incoraggiano certo la trasparenza dovremmo iniziare a riflettere seriamente.
(Carlo Melato)