Governo tecnico, larghe intese con o senza Berlusconi, stagioni nuove per uscire da un berlusconismo al tramonto. Le diverse anime dell’opposizione in questi giorni hanno avanzato le loro proposte, in uno dei momenti più delicati per la maggioranza. IlSussidiario.net ne ha discusso con il vicepresidente della Camera e responsabile organizzativo del Pdl, Maurizio Lupi.
Pier Ferdinando Casini, dalle colonne de Ilsussidiario.net, ha spronato la maggioranza a fare le riforme. Se non ne avesse la capacità, a suo avviso, spetterebbe al premier aprire una nuova fase, quella di un governo di larghe intese. Che ne pensa?
Il leader dell’Udc lancia una sfida giusta. Ci aspettano altri tre anni di governo, siamo chiamati a riformare il Paese e a ricostruirlo su basi più solide. Su questo saremo giudicati. Bisogna anche prendere atto che la realtà è cambiata e non è più quella di due anni fa.
Io però sono convinto che questa maggioranza abbia la forza necessaria per aggiornare il programma e portarlo a termine. Di certo non può puntare a sopravvivere, né sottostare ai continui ricatti interni.
Si riferisce alla minoranza finiana?
Certo, il continuo stillicidio di polemiche destabilizza l’azione di governo e limita ogni spinta al cambiamento. La situazione è insostenibile, le persone che incontro mi chiedono continuamente come sia possibile che nel Pdl ci siano ormai due partiti distinti: i finiani contro tutti gli altri. È un tiro e molla deleterio che ci costringe a mediare al ribasso.
Il problema si trascina da tempo e ha raggiunto l’apice nel famoso scontro tra i due cofondatori alla Direzione Nazionale. Come se ne esce a questo punto?
Potremmo uscirne se ciascuno di noi avesse a cuore il bene del Paese e del nostro popolo più che la propria idea particolare. Come ho ripetuto più volte, ciò che è accaduto da marzo a oggi è incomprensibile proprio perché possiamo discutere di qualunque cosa: dalla struttura alla democrazia nel partito. Con la responsabilità di tutti un’intesa è possibile, in caso contrario si trovi una soluzione finale, ne va del bene del Paese.
Parla di una separazione consensuale?
Visto che non si violerebbe nessun sacramento si potrebbe anche fare. D’altronde, se uno non si ritrova più all’interno dei valori di un partito può benissimo decidere di seguire un’altra strada. Oppure, come continuo ad augurarmi perché è la sfida più affascinante, uno decide di rimanere con le sue idee, ma smette di considerarsi un partito diverso, a se stante.
Per permettere questa convivenza il partito deve cambiare? con tutte queste fondazioni oggi il Pdl è a rischio correntismo?
Io, come i miei amici Formigoni e Mauro, ho sempre sostenuto che la forza del Popolo della Libertà sta nella sua ricchezza, nella sua diversità, capace di confronto e di sintesi sulla base di una comune visione di libertà, sussidiarietà e dignità della persona. Le iniziative che nascono alla base arricchiscono questo soggetto, è però importante che partano dall’esigenza di collegare il partito alla società e non siano funzionali a uno scontro tra le diverse anime.
Il quadro che emerge dai giornali però è estremamente confuso: finiani, aennini "lealisti", vecchia guardia azzurra, nuove leve, "ministre rampanti"…
Sono semplificazioni figlie di una lettura abbastanza riduttiva. Gli osservatori politici poi ragionano sempre all’interno di una prospettiva di schieramento e ritengono inconcepibili due parole molto semplici come amicizia e unità. In nome di questa logica posso anche trovare sui giornali cose come “Lupi abbandona Formigoni”… Non riusciranno comunque a schiacciarci all’interno di questi schemi.
Ci spieghi meglio.
In politica l’amicizia è un valore. C’è bisogno di un’amicizia operativa che aiuti chi è in Parlamento, come chi opera in un consiglio comunale, a vivere la responsabilità e a non dimenticarne il senso: l’idea della politica come servizio. È per questo che all’interno del Pdl è nata Rete Italia.
Favorire esperienze come quella di Rete Italia e la ricchezza di cui lei parlava prima, evitando allo stesso tempo la frammentazione, non sarà un’impresa facile per Berlusconi. Non trova?
Alla fine serve una sintesi e la sintesi è per sua natura il partito. Per questo il Popolo della libertà deve essere sempre più in grado di essere sintesi e capacità di rappresentanza. Non è un lavoro semplice, ma impegna tutti, non solo Berlusconi, il suo carisma e la sua capacità di guida.
A livello pratico, serve qualche cambiamento strutturale: congressi, tesseramenti, un coordinatore unico?
Il coordinatore unico a livello teorico è certamente la scelta più funzionale. Allo stesso tempo rischia di essere una decisione strumentale che non tiene conto della realtà e di come è nato il Pdl. Io, ad esempio, sono contrario, è prematuro rinunciare ai tre coordinatori. Il partito poi ha l’esigenza di aprirsi maggiormente, strutturare congressi a livello comunale che superino i metodi tradizionali, pensando a strumenti come le primarie.
Lei è davvero favorevole alle primarie nel Pdl?
Certo, se rimane il listino unico e bloccato le primarie vere sarebbero una buona soluzione per scegliere i candidati. Bisogna poi aprirsi ai giovani e al mondo di internet. Aprirsi, fare sintesi, senza dimenticarsi del perché stiamo insieme: non per un disegno di potere, ma per un progetto ideale e valoriale, la carta dei valori del Partito Popolare europeo. Il che significa libertà, responsabilità, sussidiarietà e anche moralità.
A questo proposito, le vicende di questi giorni riportano all’ordine del giorno la cosiddetta “questione morale”? Bersani, da queste colonne, ha parlato di un vero e proprio meccanismo da rompere: l’accentramento dei poteri e l’eccessivo ricorso allo stato d’emergenza…
Intanto c’è una “questione morale” che appartiene alla più ampia questione educativa e alla responsabilità di ogni uomo, compreso chi si impegna in politica.
Riguardo ai meccanismi, a mio parere è proprio la lotta alle lungaggini burocratiche e all’invasione di campo dello Stato, accompagnata da effettivi e precisi controlli, che può favorire la trasparenza. All’amico Bersani dico anche un’altra cosa.
Quale?
Se la politica si limita a parlare di governi tecnici, formule e larghe intese torna ad essere autoreferenziale. Sul tavolo in questo momento abbiamo invece due questioni fondamentali di cui oggi nessuno parla più: la riforma universitaria e la manovra economica. Torniamo a discutere di questo.
A proposito di manovra: cosa non ha permesso l’accordo tra le Regioni, guidate da Formigoni, e il ministro Tremonti?
Con l’attuazione del federalismo lo spazio per una mediazione è ancora possibile e necessario. Bisognerà certamente riconoscere i sacrifici già compiuti dalle regioni virtuose. Detto questo, la manovra non è costituita solo dai tagli agli enti locali, ma affronta il tema della semplificazione per le imprese (“l’impresa con un click” proposta da Raffaello Vignali) e della valorizzazione delle reti industriali. Resto fiducioso, c’è ancora lo spazio per migliorare, anche con il serio contributo dell’opposizione.
Da ultimo, ieri sera la maggioranza ha raggiunto un accordo sul delicato tema delle intercettazioni. Quelle rilevanti saranno pubblicabili. Fini esulta, Berlusconi non nasconde il proprio malumore. Qual è il suo giudizio?
Secondo me il ministro Alfano ha fatto un miracolo. Il testo migliore probabilmente non è quello che sta uscendo, ma il meglio è nemico del bene. Dobbiamo essere realisti e fare i conti con il contesto. È un segnale importante: bisogna garantire il diritto alla libertà di stampa (art. 21), ma non bisognerebbe dimenticarsi del diritto alla riservatezza delle comunicazioni (art. 15).
Lo sciacallaggio a cui abbiamo assistito in questi anni, e che continua in questi giorni, attraverso il quale una persona non ancora giudicata in tribunale, viene distrutta sui giornali, è francamente inaccettabile.
(Carlo Melato)