Nel Popolo della Libertà la tensione continua a salire. Domenica, dal convegno dei circoli di Nuova Italia a Orvieto, il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano aveva risposto alle accuse del finiano Granata sulla scelta di negare la protezione al pentito Gaspare Spatuzza: «Sono dichiarazioni di una gravità assoluta – aveva dichiarato l’On. Mantovano -. Da esponente del governo, ma soprattutto da componente della Camera dei Deputati chiedo al presidente della Camera Gianfranco Fini che, in avvio della prossima seduta che lui presiederà, dica qualcosa sul punto. Lo esigo in base alla mia storia personale e alla vicinanza allo stesso Fini».
Nella giornata di ieri ci si attendeva una risposta dell’ex leader di An, che però in serata ha rincarato la dose, intervenendo a una convention di Generazione Italia: «Quando si pone la questione morale non si può essere considerati dei provocatori e non si può reagire con anatemi o minacciando espulsioni che non appartengono alla storia di un grande partito liberale di massa». IlSussidiario.net ne ha voluto discutere con l’On. Mantovano.
Da Fini non sono giunte le risposte che si attendeva?
No, né in forma pubblica, né in forma privata. La politica è fatta di gesti istituzionali, ma non solo, ci dovrebbe essere anzitutto un profilo umano, di amicizia. Ciò che infatti più mi spiace, al di là delle considerazioni politiche, è l’aspetto umano. Penso che Fini mi conosca, anzi ne sono certo, conosce il lavoro che facevo prima di iniziare l’attività politica e ha potuto apprezzarmi negli anni in cui sono stato al suo fianco a occuparmi di giustizia.
Facciamo un passo indietro: come mai il Pdl è arrivato a questo punto? Chi ha maggiori responsabilità tra Berlusconi, Fini e rispettivi “falchi” e “colombe”?
Ho smesso di fare il giudice da diverso tempo. Non voglio attribuire né colpe, né concorsi di colpa.
Al di là dei colpevoli, una soluzione a questo punto è ancora possibile?
Io faccio voto perché ci sia una pace vera. Non possiamo permetterci né guerre, né tregue. La pace, per essere degna di questo nome, non deve basarsi però sull’eliminazione delle distinzioni o delle differenze, ma sull’individuazione degli strumenti che le facciano manifestare e confrontare. L’importante è che poi ci siano delle sintesi vincolanti per tutti, anche se personalmente non si condividono del tutto.
E se la pace non si riuscisse a raggiungere?
L’alternativa non può essere una tregua di sfiancamento, non possiamo permetterci di andare avanti in questo modo. L’unica alternativa è una risoluzione consensuale in tempi rapidi. La gente ci ha votato per governare, non per polemizzare.
Questo governo potrebbe rimanere in piedi anche senza Fini?
Mi fermo un passo prima, alla speranza di poter rispettare per intero il mandato degli elettori che ci hanno votato, uniti.
Se, come spiegava prima, le differenze non sono un problema, cosa rinfaccia alla minoranza finiana?
Accade sempre più spesso che le distinzioni di cui le parlavo oltrepassino le sedi nelle quali si manifestano, per approdare in Parlamento o sui media, contribuendo così a dare l’immagine di un partito senza linea, nel quale tutto ciò che viene deciso viene immediatamente contraddetto. Così non si va lontano. Alcune questioni sono poi evidentemente strumentali alla lotta interna.
Ci faccia un esempio.
Prendiamo il richiamo generico alla legalità. È un termine ampio, riempiamolo allora di contenuto. Stiamo parlando di lotta alla mafia? Sfido chiunque a trovare un periodo storico in cui sia stata più efficace, in cui i risultati siano tangibili e non verbali. Parliamo delle accuse che mi sono state rivolte? Anche negare il programma di protezione a un pentito che non rispetta le regole del gioco è legalità. Il fatto è che ormai questo termine è diventato una sorta di clava che, a prescindere dal contenuto, viene adoperata per colpire colleghi di partito, con intenti molto lontani dalla legalità stessa.
A questo proposito, Fini ieri sera ha chiesto le dimissioni dal partito di tutti gli indagati. Lei è d’accordo?
Proseguo il ragionamento: invitare alcune persone indagate, ma non ancora condannate, ad abbandonare ruoli significativi per ragioni di opportunità politica è legalità? Direi che negli ultimi tempi abbiamo assistito alle dimissioni un ministro di prima fascia e di due sottosegretari per queste ragioni…
Ma nel Pdl esiste una vera e propria “questione morale” come dice Fini?
Intanto non bisognerebbe confondere spezzoni d’indagine che hanno ospitalità sui media con il cosiddetto accertamento definitivo. Dopodiché in più di un caso, come stavo spiegando, non si è nemmeno atteso l’accertamento definitivo in favore di una valutazione politica. Il Pdl ha dimostrato così di non essere un soggetto arroccato che aspetta la Cassazione per muovere un passo, ma di essere un partito serio, che valuta caso per caso con senso di responsabilità, evitando da un lato di negare l’evidenza di alcuni fatti e dall’altro di farsi trascinare nella propria azione da condizionamenti mediatico-giudiziari.
Il Popolo della Libertà è davvero così in salute? Sbaglia allora chi lo vorrebbe rifondare?
Non è da rifondare, è un partito neonato e non deve essere sgozzato nella culla. Ha un anno di vita e deve iniziare a sgambettare seriamente sul territorio senza far affidamento sulle eredità del passato. Al centro questo partito funziona benissimo, un altro discorso sono i problemi locali, che andranno affrontati seriamente, perché serve una migliore organizzazione territoriale. A Orvieto sono stati proposti per questo motivo alcuni moduli organizzativi, come i congressi cittadini e provinciali.
In che senso questo partito funziona al centro?
Faccio parte dell’ufficio di presidenza del Pdl e ricordo benissimo che alla vigilia delle Regionali, il presidente del partito, nonché Presidente del Consiglio, era assolutamente contrario a qualsiasi accordo con l’Udc. Dopo una lunga discussione, si decise di valutare le alleanze caso per caso.
Un altro esempio? Un paio di mesi fa sul testo delle intercettazioni trovammo un punto di sintesi condiviso anche dai finiani, che dopo qualche settimana tornarono comunque a rimettere tutto discussione.
Non mi sembra, in pratica, quel “partito sudamericano” che qualche esponente si diverte a dipingere.
Seguendo il suo ragionamento al Pdl serve un chiarimento immediato e l’unica alternativa alla pace duratura sarebbe la scissione. La formalizzazione delle correnti non potrebbe essere un compromesso accettabile per rimanere uniti?
No, formalizzare le componenti interne significherebbe costituire dei nuovi partiti all’interno del Pdl. Fruire della ricchezza di posizioni non sovrapponibili, come avviene nei più grandi partiti d’Occidente (il partito conservatore inglese o quello repubblicano degli Stati Uniti) significherebbe invece prendere atto di una realtà che ormai non si può più negare.
(Carlo Melato)