In una situazione “normale” (sempre che ne esistano davvero) la candidatura di Nichi Vendola avrebbe pochissime chance. Così poche che il presidente della Puglia, con ogni probabilità, avrebbe evitato di avanzarla, oltretutto così in anticipo. Ma la situazione, da qualsiasi angolo visuale la si osservi, non è affatto “normale”.
Personalmente continuo a credere che le possibilità di Vendola di vincere le primarie, e insomma di sparigliare tutti i giochi politici del centrosinistra, ripetendo sul piano nazionale quel che ha fatto per due volte nella sua regione, restino molto limitate; e ovviamente che ancora più limitate (per non dire pressoché inesistenti) siano le sue possibilità di vincere le elezioni. Però della sua decisione di gareggiare, e dell’interesse e delle reazioni che suscita, è il caso di occuparsi con serietà, prima di tutto perché non riguarda solo quel che resta della cosiddetta sinistra radicale, ma smuove la morta gora in cui fin qui si è auto costretto il centrosinistra.
Chiedo scusa se la prendo, almeno all’apparenza, un po’ alla lontana. Si dice che l’afasia di cui soffre il Pd sia anche (qualcuno dice: soprattutto) la variante nazionale di una malattia grave che affligge un po’ in tutta Europa la sinistra. C’è del vero, naturalmente. Ma soltanto in Italia alle difficoltà crescenti (usiamo pure questo eufemismo) del centrodestra al governo non corrisponde in alcun modo una crescita di consenso e di prestigio dell’opposizione. Per essere più precisi: soltanto in Italia la possibilità di un ricambio e di un’alternanza (oggi, domani, dopodomani) non rientra nell’ambito delle aspettative realistiche, e la crisi sembra consumarsi, con esiti imprevedibili, tutta all’interno del campo di governo e di maggioranza.
Non è così, per fare un esempio concreto, in Francia, dove al consenso di Sarkozy ridotto al lumicino corrisponde una forte ripresa della sinistra, che magari non sarà sufficiente, nel 2012, a determinare il cambiamento all’Eliseo, ma sicuramente basta per segnalare che la partita è aperta. E non è così nemmeno in Germania, dove i sondaggi più autorevoli segnalano un vistosissimo calo della Cdu-Csu e ancor più dei liberali, e una notevole avanzata della Spd, dei Verdi, della Linke.
È ovviamente assai difficile (al momento, anzi, impossibile) che la “narrazione” di Vendola valga a mettere in movimento, da noi, qualcosa di analogo. Ma attenzione. In Francia, e in Germania, le sinistre (il plurale è d’obbligo) puntano certo, con qualche successo, a conquistare o riconquistare voti al centrodestra. Il primo obiettivo che si sono date, però, e che in una misura notevole stanno conseguendo, è di tornare a mobilitare la più parte possibile di quella parte grande del loro elettorato che in questi anni, sempre più delusa e scoraggiata, si è via via ritratta prima dall’impegno, poi anche dal voto.
Con buona pace dei sostenitori del bipolarismo virtuoso, che esiste solo negli editoriali, ovunque vince chi è capace di riguadagnare in misura maggiore dell’avversario il consenso nel proprio campo. Fin qui nessuno, nel centrosinistra italiano, si è rivelato capace non dico di risolvere il problema ma, quanto meno, di metterlo a fuoco. Vendola, a modo suo, con il suo stile e il suo linguaggio, ci sta provando. E, quanto più ci proverà, scompigliando le componenti e le correnti, tanto più costringerà gli altri, se ne sono capaci, a provarci.
Già questo basterebbe anche chi da queste posizioni è assai distante a salutare con simpatia il suo tentativo, e a guardare con viva soddisfazione alle reazioni infastidite e preoccupate che provoca tra i maggiorenti dell’opposizione, o presunta tale. Ma c’è dell’altro, dell’altro politicamente importante, ed è l’aperto, motivato rifiuto che Vendola oppone non solo alla filosofia e alla pratica delle larghe intese, dei governi tecnici e dei ribaltoni, ma all’idea stessa che il fine di una forza di opposizione possa essere puramente e semplicemente quello di scalzare Silvio Berlusconi, prescindendo allegramente dalla natura politica, culturale, economica e sociale deri soggetti con cui si tenta di sostituirlo.
Si può sorridere finché si vuole (a condizione, naturalmente, di risparmiarsi l’acidità) dell’idea di Vendola secondo la quale la politica è essenzialmente, se non soltanto, “narrazione”: di una storia, di una prospettiva, di un popolo. E però è difficile negare che la forza sostanziale non tanto del centrodestra, ma di Silvio Berlusconi, sia stata e sia proprio quella di aver formulato una “narrazione” del Paese che, nonostante tutti i limiti dell’azione di governo, il conflitto di interesse, i problemi giudiziari e chi più ne ha più ne metta è e resta condivisa dalla maggioranza degli italiani.
Ed è altrettanto difficile negare che sul versante opposto la causa prima di una difficoltà almeno all’apparenza insuperabile sia, venuta meno la “narrazione” tradizionale che cementava il campo della sinistra, l’incapacità di metterne in campo un’altra in larga misura diversa, certo, e però capace di suscitare impegno, speranza, passioni, progetti.
Può darsi, anzi è certo, che quella proposta da Nichi nelle sue Fabbriche non sia sufficiente. Ma allora il problema è di elaborarne una più ricca e convincente, non di fare spallucce nell’illusione che l’avversario sia alle corde, e che si tratti solo di trovare il momento giusto per far scattare la manovra politica destinata a metterlo ko.