«Berlusconi deve prende in mano la situazione e gestire politicamente la frattura nel centrodestra. La cosa più importante che deve fare, però, è ricomporre, anche in prospettiva futura, la frattura col Quirinale. Il federalismo? I conti e la maggioranza in subbuglio lo mettono a rischio». Stefano Folli, editorialista del Sole, parla con il sussidiario della difficile quanto delicata situazione politica.



Berlusconi è deciso a riaffermare la sua leadership per risolvere i contrasti interni alla maggioranza. Ci riuscirà?

Mai come ora le sorti della maggioranza dipendono dalla capacità di leadership di Berlusconi. Egli deve subito risolvere le difficoltà legate alla manovra economica e quindi al ruolo di Tremonti. In senso più ampio, però, il problema è lo stesso di sempre: poiché il centrodestra è privo di una classe dirigente, se va in crisi il ruolo guida di Berlusconi va in crisi tutta la coalizione.



Secondo lei con la sua manovra Tremonti non sta «scrivendo» un programma politico che supera quello di Berlusconi del 2008?

Non credo. Sono convinto che Tremonti si sia dovuto confrontare con una situazione nuova obiettivamente molto difficile, e abbia dovuto dare un segnale forte innanzitutto all’Europa sul piano del contenimento del deficit. Il punto è sempre politico, ma in un altro senso: e cioè che questa manovra, pesante ma necessaria, è stata condotta senza quel ruolo di preparazione politica che era indispensabile.

Sta parlando dello scontro con le Regioni?

Certo. È stato azzardato andare allo scontro: sarebbe stato molto più saggio gestire politicamente l’operazione fin dall’inizio, questo però non so quanto sia responsabilità di Tremonti, perché al ministro dell’Economia non si chiede di guidare politicamente la coalizione.



È qui, sta dicendo, che è mancato Berlusconi?

Sì, questo è uno dei punti su cui Berlusconi avrebbe dovuto esercitare per tempo la sua leadership. Soprattutto dopo il voto regionale di primavera, in cui il centrodestra si è molto rafforzato nelle amministrazioni regionali, doveva essere capace di trovare un punto di equilibrio senza arrivare a questa sorta di diktat costituito dai tagli.

Lei è ottimista sulla possibilità di comporre lo strappo con le Regioni?

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Sì, se Berlusconi prende in mano la situazione e riesce a gestire politicamente la frattura. Non credo che il centrodestra sia così folle da aprire una crisi di governo sulla manovra economica, anche se in politica non si può escludere nulla. In realtà il principale errore di queste settimane, o di questi mesi, è di aver incentrato tutta l’azione politica  sulle intercettazioni, quando invece i grandi temi politici del paese erano altri: la manovra economica, e la capacità di legare la manovra economica ad un programma di riforme economico e sociale adeguato alla crisi del momento.

 

Pare che Berlusconi abbia in mente una svolta, una sorta di «predellino 2» per rilanciare il Pdl e rompere con Fini. Il blitz può riuscire ancora?

 

Non credo, perché certe operazioni si possano fare una volta sola. Il primo «predellino» mise fuori gioco Casini e tenne dentro Fini, ma dubito che un nuovo predellino fatto soltanto per escludere possa funzionare. Mi pare che ci voglia qualcosa di nuovo più che la ripetizione di operazioni che forse hanno avuto successo nel passato, e dico «forse» perché il Popolo della libertà nato in piazza San Babila non è mai veramente nato come partito dotato di una classe dirigente e capace di interpretare la società,ma solo come proiezione del suo leader.

 

Quella di questi ultimi tempi è secondo lei la prima vera crisi del politico Berlusconi, come da un po’ di tempo dicono diversi commentatori?

 

L’importante è rendersi conto che le leadership hanno una loro parabola e un arco temporale durante il quale si consumano. Berlusconi è sulla scena da 16 anni ed è evidente che il suo carisma personale e politico è ancora grande, ma non sarà infinito. Ecco perché avrebbe dovuto già da qualche anno pensare a costruire un partito del centrodestra che fosse in condizioni di non rivolgersi sempre e soltanto a lui per ricomporsi.

 

Scartato il nuovo «predellino», cosa dovrebbe fare Berlusconi?

 

La linea alternativa secondo me è una sola: primo, ritrovare un punto di incontro col Quirinale, mettendo da parte la questione intercettazioni per qualche mese. Poi affrontare il caso Brancher, ancora aperto, sul quale il Capo dello Stato è molto irritato. Occorre risolverla al più presto, anche in vista del voto di sfiducia in Parlamento. Infine Berlusconi deve cercare di comporre i punti di maggior contrasto, che ci sono e sono profondi, all’interno della coalizione. Comporli, o trovare una forma politica per cercare di dirimere la questione.

 

Che cosa intende?

 

Un’ipotesi potrebbe essere quella di convocare un congresso in autunno in cui ognuno si assume le sue responsabilità per cercare di soddisfare le principali componenti; oppure ci si separerà, se questo è inevitabile.

 

Torniamo alle intercettazioni. Per il Quirinale è solo una questione di rinvio, o anche di sostanza per un provvedimento che continua a suscitare violente critiche al governo?

 

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È evidentemente di sostanza, e il rinvio ha senso se è funzionale a modificare, col tempo dovuto, il ddl. Ristabilire un rapporto positivo col Quirinale è la cosa più conveniente e urgente per il governo,ma se vuole farlo deve cercare di porre la questione in una chiave che attiene l’interesse generale. Non si può affrontare la riforma della giustizia solo e soltanto nell’ottica della protezione di Berlusconi e dei suoi collaboratori, che è quello che è arrivato finora all’opinione pubblica.

 

Qual è la sua analisi sul coinvolgimento del Carroccio nel caso Brancher?

 

Secondo me un certo coinvolgimento della Lega, non so se di Bossi in prima persona, c’è stato. Poi sono arrivati i fraintendimenti e gli errori, che hanno irritato non poco la base della Lega stessa. Bossi a si trova ora nella difficoltà di gestire i malumori della sua base e di tenere insieme una maggioranza che sta commettendo errori sui punti cruciali del suo programma. Parla ad un mondo che vuole vedere risultati, ma i risultati non ci sono.

 

Il federalismo non è a portata di mano?

 

Mi pare che con i tagli e la situazione che si è creata, al di là delle parole, il federalismo fiscale si stia allontanando. È inevitabile. È stato sbagliato fare i tagli come sono stati fatti colpendo le Regioni virtuose, e questo, unito alle divisioni interne, potrebbe avere una serie di ricadute politiche.

 

Sta dicendo che il federalismo si allontana per i problemi interni della maggioranza?

 

Il comportamento della maggioranza è certamente un’aggravante, ma nel momento in cui non ci sono le risorse, ma ci sono tagli alle Regioni che in parte sono inevitabili, in parte sono stati mal gestiti, il cammino verso il federalismo fiscale si complica. Se ad affrontarlo ci fosse una maggioranza molto più coesa e determinata, la situazione apparirebbe diversa.

 

Cosa riserverà secondo lei il delicato passaggio della mozione di sfiducia a Brancher?

 

Non posso prevederlo. Dico soltanto che se il governo dovesse essere battuto, si aprirebbe una crisi, se invece il governo non fosse battuto il problema resterebbe ugualmente non risolto, con l’effetto di far aumentare ancor più la tensione parlamentare. Sarebbe stato opportuno, e sarebbe ancora opportuno, che ci fossero le dimissioni spontanee del ministro prima di giovedì.