L’eterno scontro tra Berlusconi e Fini all’interno del Popolo della Libertà sembra destinato a modificare profondamente l’attuale schema del centrodestra. Dopo la “rissa” tra i due alla Direzione Nazionale la guerra fredda è proseguita fin qui senza interruzioni, anche se in maniera meno eclatante. A questo punto l’ipotesi più accreditata sembrerebbe quella di una “separazione consensuale” che garantisca stabilità all’esecutivo. Sullo sfondo la soluzione estrema che prevede l’espulsione della minoranza e quella più irrealistica di una riconciliazione tra le parti.
«Probabilmente Fini continua a credere di poter mantenere la sua posizione di dissenso all’interno del partito – dice Marcello Veneziani a IlSussidiario.net -. Non trovando sponde nel Pdl, però, dovrà capire molto in fretta dove può andare se il giocattolo si rompe».
La scissione tra i due leader è una soluzione che questa volta ha un fondamento o siamo alle solite?
Berlusconi sembra intenzionato ad accelerare, a far emergere questa frattura. I politici più sensati che lo circondano premono invece perché si stabilisca almeno un confine condiviso in modo da negoziare la fuoriuscita, consentendo così alla maggioranza di continuare a governare. Potrebbe essere un compromesso ragionevole che garantirebbe a Fini la possibilità di costruirsi una posizione per il futuro.
Il premier sarà costretto a sottomettere l’istinto alle esigenze di governo?
Il gusto di punire il rivale è una tentazione sicuramente forte, ma non politica. Dal suo punto di vista sarebbe più saggio ridimensionare Fini al ruolo di alleato minore, a leader di una frazione ben identificata e circoscritta del centrodestra che difficilmente può fare catastrofi.
In questo caso l’ex leader di An potrebbe continuare a fare il Presidente della Camera?
Direi di sì, anche portando avanti la sua posizione critica. L’importante è che tra i due si stipuli un nuovo patto che escluda il boicottaggio istituzionale. Solo in questo modo Presidente del Consiglio e Presidente della Camera potranno portare a termine i propri incarichi.
Se il compromesso dovesse sfumare rimarrebbe soltanto l’ipotesi di un “terzo polo”, esterno al centrodestra?
In teoria sì, nella pratica Fini non ha le forze per farlo. Basta registrare la freddezza di Casini per arrivare a questa conclusione. L’invito esplicito a procedere è arrivato solo da Rutelli ed è un po’ pochino. Casini non può che essere infastidito dal protagonismo di Fini, gli sta rubando la scena anche se in realtà è lui ad avere i numeri per fare il terzo polo.
Potrebbero ritrovarsi entrambi nell’ipotetico “Partito della Nazione”?
Difficile, chi farebbe il leader a quel punto? Ridursi a vice di Casini per non aver voluto fare il vice Berlusconi sarebbe per Fini un vero e proprio suicidio politico.
I giornali in questi giorni hanno parlato di una questione patrimoniale alla base della “fusione fallita” tra An e Forza Italia. Entra in gioco anche questo fattore?
È una vicenda che Fini si trascina dietro da anni come una palla al piede: quando venne liquidato il patrimonio dell’Msi propose di creare una “Fondazione Fini” a cui intestarlo. Ovviamente insorsero in molti, compresa Donna Assunta Almirante. L’ipotesi di una fondazione a suo nome svanì, ma l’operazione venne portata a termine sotto la copertura di un comitato di garanti, gestito da un finiano di ferro come Lamorte.
Poi venne il predellino e An entrò nel Pdl…
Esatto, ma a Fini venne comunque assicurato questo “tesoretto”. Una decisione che aveva senso ai tempi di Fini leader di An. Oggi invece è a capo di una minoranza che nella migliore delle ipotesi è un terzo della vecchia Alleanza Nazionale. Siamo proprio sicuri che a questo punto il Presidente della Camera possa disporre di questo patrimonio a suo uso e consumo? A mio parere sarebbe un doppio tradimento, della storia dell’Msi e di tutti quelli che hanno contribuito a creare Alleanza Nazionale.
Ci saranno delle sorprese secondo lei quando, con la nascita di un nuovo soggetto, gli ex An dovranno schierarsi senza ambiguità “con Fini o contro Fini”?
Secondo me sì, in entrambi i sensi. In molti non lo seguiranno, basta leggere le dichiarazioni dei finiani più spaventati di finire nella “terra di nessuno”. Sono quelli che oggi dicono che è ancora possibile trovare un accordo. In realtà mandano un chiaro messaggio a Fini: “non ti seguiremo nel deserto”. Bisogna ammetterlo, la partita di Fini, giusta o sbagliata che sia, è evidentemente di tipo personale.
All’opposto, potrebbero esserci anche adesioni inaspettate?
Qualche azzurro deluso pronto al grande salto ci potrebbe anche essere, altri invece potrebbero decidere di andare con Fini per ragioni anagrafiche. Più di uno inizia a chiedersi: “fra qualche anno Berlusconi cosa farà? Avrà un ruolo super partes o partirà per le Bahamas?”.
L’ipotesi di una riconciliazione è invece definitivamente da scartare? Lo scontro Fini-Bondi di qualche giorno fa sembrava un diverbio tra membri di partiti diversi…
Le diversità di vedute è nota da tempo, la novità più inquietante sta però nei comportamenti più che negli scontri verbali. Parlo dei conflitti veri, del boicottaggio delle procedure parlamentari.
Dietro il motto berlusconiano del momento, “ghe pensi mi”, si ripropone ancora una volta la volontà di Berlusconi di risolvere in prima persona i problemi che gli altri esponenti della maggioranza non sembrano in grado di gestire. Anche questo è un campanello d’allarme?
Queste dinamiche sono caratteristiche del Pdl. In questa frase, per una volta, non vedo però una dimostrazione di egocentrismo, ma la volontà di rassicurare quella componente che non chiede più collegialità, ma addirittura più decisionismo.
Il caso Brancher però lo è stato?
In questo caso parlerei di autentico autogol di Berlusconi, lasciato solo dalla ritirata leghista. Salverei però la prontezza di riflessi con cui il premier ha rimediato all’errore.
(Carlo Melato)