Debolezze sconcertanti. Un’arroganza così spinta da sfiorare l’autolesionismo. Oscuri disegni di fantapolitica, impigliati nelle stesse parole di chi li ideava. È un catalogo davvero avvilente quello che presentano con cadenza quotidiana le molte inchieste aperte dalla Procure di mezza Italia.
Non bastavano le disavventure del governatore del Lazio, saltato su una sconcia vicenda di trans, droga e carabinieri corrotti, non bastava il caso triste, per chi abbia un minimo di memoria storica, del sindaco di una città simbolo come Bologna spazzato via dalle note spese a favore dell’amante come un qualunque manager incapricciatosi della propria segretaria.
Il peggio è arrivato con l’autoeliminazione dalla scena politica del ministro Scajola, inciampato nell’acquisto inconsapevole di una casa con vista sul Colosseo, nei balbettii del Presidente della Camera, la terza carica dello Stato, a proposito di una tortuosa, e ancora tutta da chiarire, storia di un appartamento venduto dal suo partito e finito attraverso lo schermo oscuro di un paio di società off shore al fratello della sua compagna.
Vicenda raccontata in solitudine da Il Giornale e accompagnata dall’inginocchiato silenzio di gran parte della stampa. E poi ci sono le trame, inquietanti come hanno scritto molti quotidiani, ma ancora di più patetiche e velleitarie della P3, la loggetta che metteva becco su tutto ma non riusciva a portare a casa un affare che fosse uno.
Il sottosegretario Cosentino è caduto dentro questa ragnatela di complotti da bar di provincia, il suo pari grado Caliendo ci è andato vicino anche se ha salvato la poltrona. Cosentino, a quanto leggiamo, voleva spargere veleni dentro il suo stesso partito, il Pdl, e questo la dice lunga sul degrado raggiunto nei palazzi della politica.
Il tempo delle sontuose indagini alla Mani pulite sembra tramontato, insieme alle roventi polemiche degli anni scorsi. Le indagini, come quella sulla cricca, sono sempre poderose, ma offrono scorci sempre più desolanti, quasi imbarazzanti, quasi meschini di assalto alla diligenza. C’è il magistrato della corte dei conti che si fa ristrutturare il bagno a costo zero dall’impresa amica degli amici e c’è il generale della Guardia di finanza che riceve in dono le chiavi di due appartamenti per i figli.
Si intuisce che alcuni grandi appalti, come quelli legati ai Grandi eventi per i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, siano stati condizionati se non truccati da quel sistema gelatinoso di relazioni forti e trasversali, favori sottobanco, untuose contiguità politiche. Ma in certe situazioni il disastro politico è arrivato quasi per conto suo, quasi per inerzia, com’è successo a Scajola, caduto senza nemmeno essere indagato così come era capitato prima di lui a Marrazzo. Un copione analogo a quello scritto per il caso Brancher: una storia penosa chiusa dalle sacrosante dimissioni del ministro “breve”.
Insomma, i meccanismi di potere di Tangentopoli appaiono lontani: si intravedono molte meno valigette e più intrallazzi, ammiccamenti sul filo del rasoio, abbracci appiccicosi fra persone legate dal filo robusto del cinismo. E, come per controcanto, anche i magistrati avanzano dentro quel soffocante labirinto con maggior cautela. Diventa oggettivamente arduo accusarli di partigianeria. Difficile immaginare che la magistratura possa sovvertire un sistema, com’era accaduto negli anni Novanta (anche se l’inchiesta sulla Cricca ha toccato alcuni centri nevralgici del potere), facile pensare che altre teste, dopo quelle di Scajola, Brancher e Cosentino, possano cadere.
Ci sono personaggi, da Bertolaso a Verdini, azzoppati dalle carte fin qui emerse, altri, forse anche dalle parti dell’opposizione, potrebbero ritrovarsi nei guai. Non è facile prevedere le prossime puntate del risiko giudiziario, fra improvvise accelerazioni e brusche frenate. Il tutto sullo sfondo di un quadro politico traballante: proprio sulla mozione di sfiducia a Caliendo, il Governo ha vinto ma ha scoperto di non avere più la maggioranza assoluta dei numeri.
C’è il rischio di entrare in una fase logorante, con continui rimpalli fra il piano politico e quello giudiziario. E regolamenti di conti, favoriti da questo o quello scossone. Ma a tutto questo purtroppo siamo abituati da molti anni. Chissà, a marzo forse gli italiani torneranno alle urne. Certo, le elezioni nel 2011 sancirebbero il semifallimento di una legislatura iniziata fra squilli di tromba, ma sarebbe anche peggio veder sprofondare la maggioranza nel pantano delle riforme mancate.
Berlusconi può andare avanti solo sulla base di un accordo chiaro, su alcuni punti ben definiti, con Fini. E non è affatto scontato che i due si stringano la mano.