Sulle potenzialità elettorali del nuovo gruppo di Fini, negli ultimi giorni, si sono visti molti e diversi sondaggi. Alcuni davano la formazione singola attorno all’1-1,5%, altri al 9-10%. Sul “Terzo Polo” c’è chi ha proposto il 16%, chi il 22%, chi altro ancora.
Diverse di queste rilevazioni sono state effettuate attraverso Internet o su campioni selezionati, come dagli stessi realizzatori certificato nella documentazione allegata, quindi non rappresentative della popolazione. In più, realizzate nel periodo di fine luglio/inizio agosto, con parecchi italiani in vacanza, che rendono la distribuzione demo-geografica del Paese parecchio distorta.
Abbiamo, invece, tentato di fare uno studio analizzando un periodo più ampio, meno influenzato dagli ultimi eventi, cercando quale possa essere effettivamente il sedimento che tutta la vicenda potrà aver lasciato a livello strutturale. Perché è da questo che poi deriva il grosso dei voti o dei non voti che si possono ottenere al momento giusto.
Sicuramente, l’apprezzamento del percorso politico di Gianfranco Fini è ben testimoniato dal solo fatto che dalla metà degli anni Novanta egli sia sempre e costantemente stato ai primissimi posti negli indici di fiducia del leader politici dei principali istituti demoscopici. Sempre più in alto di Berlusconi.
Ciò nonostante, emergono alcuni chiari ed importanti segnali non positivi, nei confronti della sua politica.
Lo scollamento tra la base e la dirigenza, già molto evidente in tanti partiti italiani, parrebbe preoccupante nella attuale situazione di Fini.
Voglio ricordare che a ogni parlamentare non corrisponde lo stesso bacino di voti. Molti di essi vengono candidati grazie alle loro capacità personali ed eletti grazie alla forza del partito, ma non apportano elettori in caso di consultazione.
Al di là di quanti parlamentari abbiano seguito Fini nella formazione dei nuovi gruppi – e probabilmente il numero aumenterà – la domanda da porsi è: a quanti voti dei cittadini corrisponderebbero?
Nella situazione di oggi, Gianfranco Fini sembra essere stato abbandonato dal suo elettorato di riferimento, che comunque rimane il centrodestra. Esattamente un anno fa, gli elettori del Pdl che prendevano molto in considerazione un suo eventuale partito erano il 28% (34% nell’area An), nei primi mesi del 2010 il dato era calato a neanche il 5%, con l’area An al 3%.
Forse il dato oggi potrebbe essere un po’ più alto, per ragioni di cuore ed entusiasmo, ma il risultato è palese.
Per la gente di centrodestra si sta parlando di qualcosa di lontano. Abbiamo visto come la gente voglia in grande maggioranza un sistema bipolare, cioè semplice e stabile. Ancora il 60% ad aprile, considerate tutte le tensioni dell’ultimo periodo, e solo un anno prima oltre l’80%.
Anche su eventuali alleanze centriste, occorre ponderare: gli elettori dei partiti di centrosinistra e anche dell’Udc, ritengono in forte maggioranza che “rimangano all’interno di un pensiero di centro-destra” (mediamente 59%). Tradotto, significa che un elettore dell’attuale opposizione deluso dai suoi, nella maggior parte dei casi si astiene, non vota qualcosa di così diverso dal suo pensiero.
Sia sufficiente ricordare gli effetti del patto con l’Elefantino nel ’99, non valutato in precedenza, quando An passò al 10,3% dal precedente 15,6%.
Oggi, l’elettorato italiano, compreso quello del PdL e dell’area ex-AN, ritiene in maniera plebiscitaria che dopo Tangentopoli, la situazione politica non sia cambiata o sia cambiata in peggio. Solo l’11% vede una situazione migliore di quella precedente al ’94. Significa come il livello della politica (e dei politici) sia considerato basso.
Nello stesso momento, solo Berlusconi viene visto come “un politico diverso dagli altri”, per il 33% fra tutti gli Italiani e per il 50% internamente al Pdl. Al contrario Fini, viene visto come gli altri dall’83%, valore che lo accomuna a Rutelli, Casini o Di Pietro. All’interno degli ex-An, prima di Fini – che prende solo l’11% – ci sono Berlusconi (46%), Bossi (36%), Bonino e Di Pietro (17%) e persino Casini (15%).
Inoltre, gli Italiani preferiscono un leader che abbia la “cultura del fare” tanto cara a Berlusconi, cioè preferiscono un leader che sappia di risolvere problemi piuttosto che prevederli (63% contro 28%). Quota invariata anche all’interno del Pdl.
Fini non nasconde di avere una visione a lungo termine e non si può dire che non lo abbia detto a chiare lettere anche in passato. Dal suo discorso al congresso di scioglimento di AN, nel marzo 2009: “Che il Pdl sia la capacità di dare le risposte e di individuare un progetto per l´Italia. (…) Noi dobbiamo immaginare l´Italia fra dieci o quindici anni. E siccome siamo forza di governo, dobbiamo cominciare a costruirla”. Ma questo non si tradurrebbe nell’immediato in preferenze elettorali.
Infine, non viene risolto il “problema” del Nord. Uno specifico studio effettuato da me proprio sul tema (tutti i dati citati sono verificabili sul sito della Presidenza del Consiglio www.sondaggipoliticoelettorali.it o liberamente scaricabili da www.analisipolitica.it) indica come nel Nord-Ovest la maggior possibilità di travaso di voti per Fini da un bacino potenziale a un elettorato “sicuro”, avvenga attraverso l’Udc. Non dagli indecisi, non dalla sinistra, ma soprattutto non dalla Lega, che è come è noto, sta erodendo da destra grosse quote di delusi Pdl, non esistendo più An in funzione di argine.
Anzi, in quelle zone, un’eventuale alleanza col centro, potrebbe essere controproducente, le formazioni si “ruberebbero” i voti.
Con un quadro simile, nel caso di un non improbabile atto di forza da parte di Silvio Berlusconi teso a portare il Paese al voto anticipato nel più breve tempo possibile, un’eventuale formazione di Fini sarebbe fortemente in svantaggio, sia sola che alleata.