«Penso che lo stato di salute dell’informazione sia buono. Non sono un ottimista di maniera, lo dico sulla base dell’osservazione – dice Mario Calabresi a IlSussidiario.net -. Basta guardare infatti al numero di pluralità delle voci e dei soggetti, all’ampia offerta che c’è in edicola, ai quotidiani on line e alle novità editoriali. Questa pluralità – prosegue il direttore del quotidiano La Stampa, ospite quest’oggi del Meeting di Rimini – è certamente un fatto positivo. Il problema non è il deficit di informazione, piuttosto un fenomeno negativo, di cui in questo periodo stiamo toccando l’apice».
A cosa si riferisce?
All’iperpartigianeria, alla tendenza sempre più netta delle testate giornalistiche a schierarsi. Non è un fenomeno solo italiano, ma la tendenza è proprio quella di dare alle ali estreme, ai lettori più focosi e ideologizzati esattamente quello che desiderano leggere. Si solletica la pancia, si forniscono risposte preconfezionate e funzionali alla lotta politica, nella convinzione che questo faccia vendere di più.
Come si esce secondo lei da quella che è stata definita la “stagione del fango” e che non sembra finire mai?
Guardi, sono convinto che abbiamo raggiunto il vertice e che questa tendenza sia destinata nel tempo a perdere seguito, anche se lascerà certamente del veleno in circolo. La polemica, lo scandalo, lo scontro all’ultimo sangue sono benzine che bruciano bene, ma solo nel breve periodo. Alla lunga generano soltanto stanchezza e assuefazione.
Nel suo lavoro cosa significa tenere una posizione diversa?
Significa cercare di non partecipare a questa deriva e fare delle scelte. I giornali che ogni giorno con toni da crociata dedicano dieci pagine sempre allo stesso argomento mi impressionano. Preferisco pensare a un giornale che non istighi all’odio e alla rabbia, ma che aiuti le persone a ragionare, a capire e a farsi un’opinione.
Se un giornalista smette di farsi domande e si affida alle risposte prefabbricate passa, magari inconsciamente, dal giornalismo alla propaganda e alla militanza. “Al cuore del giornalismo”, il tema dell’incontro di oggi al Meeting, significa rimettere le domande al posto dei pregiudizi e delle certezze granitiche.
Il mondo dell’informazione recentemente si è ritrovato compatto nella contrapposizione al ddl intercettazioni. Solo qualche voce isolata, come quella di Piero Sansonetti, ha puntato l’indice su un meccanismo per nulla virtuoso che può trasformare i giornali nel braccio armato delle lotte politiche e giudiziarie…
Bisogna distinguere però due aspetti. Da un lato sono certamente convinto che l’autocritica dei giornali sia doverosa perché troppo spesso il diritto alla privacy è stato calpestato. Sono stati commessi degli errori gravi e di questo siamo tutti responsabili. Quel disegno di legge però aveva finalità totalmente diverse. Puntava a rendere più difficili le indagini sulle storture e sulle corruzioni del mondo politico. La stessa politica ha poi dimostrato la propria ipocrisia.
In che senso?
Chi ha criticato per mesi i giornali ci sta dimostrando che ai fini della lotta politica sa usare benissimo gli stessi mezzi.
Passando all’attualità del quadro politico, che idea si è fatto di questo momento di grande confusione tra verifiche di governo, appelli a maggioranze fantasiose ed esplicite richieste di voto?
Siamo in una fase che può anticipare grandi cambiamenti. Lo schema dell’uomo solo e carismatico che risolve tutto con un colpo di genio e con i proclami non sembra bastare più. Emerge invece un bisogno di lavoro quotidiano, fatto anche di fatica e di programmazione.
Non saprei dire se siamo al tramonto del berlusconismo, di certo la fase in cui Silvio Berlusconi è stato il motore innovativo, la spinta decisa al cambiamento del Paese, si sta avviando al termine.
L’attuale governo è in grado secondo lei di superare la verifica interna o dovrà cercare l’aiuto dei centristi?
Difficile fare previsioni, ci sono troppe variabili. Bossi però è stato molto netto nel suo veto a Casini e l’operazione sembra davvero molto difficile. Forse le elezioni non sono poi così lontane.
Cosa glielo fa pensare?
Sono convinto che non convengano al Paese in un momento così delicato per l’economia e forse non convengono nemmeno a Berlusconi. A forza però di parlarne e di giocare con il fuoco potremmo ritrovarci presto alle urne senza neanche sapere il motivo.
In quel caso che previsioni si sente di fare?
Se si andasse a elezioni anticipate potrebbe emergere un terzo polo certamente più ampio dell’attuale partito di Casini. Un fatto nuovo che potrebbe anticipare la fine del bipolarismo per come lo conosciamo dal ’94. Un ritorno al passato: non più due, ma tre blocchi che si presentano dai cittadini e formano le maggioranze dopo il voto. D’altronde è successo anche in Gran Bretagna e in Germania…
(Carlo Melato)