Difende, il ministro Alfano, l’operato del governo in materia di giustizia, dall’accusa che le riforme siano bloccate dal tentativo di difendere interessi di parte – l’ultima bordata è arrivata qualche giorno fa da Repubblica, che accusava la riforma sul Lodo di mettere a rischio 5 milioni di processi – e da chi punta il dito contro l’impasse, che viene dallo stop imposto dalla minoranza interna finiana al processo breve. Un ostacolo che appare lontano da una soluzione e che ha tutti i motivi per preoccupare il presidente del Consiglio.
La riforma per accelerare i tempi del processo è uno dei punti imprescindibili messi nero su bianco da Berlusconi per rilanciare l’attività di governo. Giustizia, fisco, federalismo e sud sono – come aveva detto lo stesso Guardasigilli al Corriere – i nodi sui quali vedere «chi ci sta». «Il percorso parlamentare – sono state le parole di Alfano – servirà a far vedere chi vuol far finire la legislatura e chi invece vuol portare avanti il programma di governo».
Oggi al Meeting di Rimini è il giorno del faccia a faccia con Luciano Violante, mente della sinistra in materia di giustizia e presidente del Forum Riforma dello Stato del Partito democratico. A un anno di distanza dall’ultimo Meeting, quello in cui il ministro aveva detto che il governo, e con esso il paese, non avrebbe aspettato all’infinito le aperture – mai arrivate – del Pd, Alfano snocciola i punti salienti dell’azione dell’esecutivo. «Abbiamo portato a termine la riforma del processo civile – dice Alfano al sussidiario -, completato la normativa antimafia, riorganizzato le forze dell’ordine. E completato la riforma del processo breve al Senato».
E qui si arriva al punto che farà scintille. Parlando con il sussidiario Violante ha definito «interessante» il tema del processo breve, sottolineando però la necessità di capire come «verrà tradotta la proposta». Pende come una spada di Damocle, infatti, la norma transitoria, che prevede l’estinzione del processo per i processi in corso relativi a reati commessi fino al 2 maggio 2006, puniti con pena inferiore nel massimo a dieci anni, se sono decorsi più di due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero.
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Ma Alfano respinge decisamente le accuse di volere un’amnistia. «Non esiste una riforma in questo campo senza una norma transitoria – spiega il ministro -. Essa è assolutamente fisiologica in una riforma procedurale che prospetta un passaggio così importante come quello che stiamo tentando, tra il vecchio assetto procedimentale e il nuovo assetto con processi a durata ragionevole». Anzi, «conosco bene le accuse che ci vengono rivolte – insiste Alfano -. Mi spiace ancora una volta constatare che il principio ispiratore di chi è contrario a questa norma transitoria è solo uno: il pregiudizio politico. La giustizia italiana “chiede” questa norma – dice il ministro -: servirà a produrre più efficienza oltre che a soddisfare l’ordinario senso di giustizia dei cittadini».
Sulla necessità di mettere mano alla Costituzione, Alfano ribalta le tesi della sinistra. La nostra Carta non è intoccabile, dice il ministro, e lo provano i fatti. «È dai primi anni ’80 che si discute di come cambiare la seconda parte della Costituzione, quella che riguarda le regole. Maggioranze diverse vi hanno sempre provato: vuol dire che una ragione c’è. Andremo avanti con la riforma costituzionale della giustizia» dice il ministro. Ma un obiettivo imprescindibile rimane il processo: «Bisogna assicurare nel processo una perfetta parità tra l’accusa e la difesa. Questa è la strada per fare un processo veramente giusto».
Alfano ribatte infine a Violante, che sottolinea come sia stato il venir meno del ruolo del Parlamento ad aumentare in modo indebito lo spazio del potere giurisdizionale. L’attuale sistema elettorale non propone ai cittadini candidati designati dalle segreterie dei partiti? «Occorre affrontare questo tema in chiave più ampia – risponde Alfano -. Il paese ha avuto per anni le preferenze, poi vi ha rinunciato abrogandole, poi ha votato con il collegio maggioritario ma nemmeno questo è servito a produrre stabilità, come ha dimostrato la vicenda politica di Romano Prodi. No, la stabilità viene innanzitutto da solide leadership in un contesto bipolare».