Non ci saranno le elezioni anticipate in ottobre né a dicembre. Almeno questa sciagura è stata sventata. Berlusconi nel vertice di Villa Campari ha ottenuto da Bossi la rinuncia all’idea di provocare le elezioni anticipate. Il premier ha capito che correva due rischi. Il primo è che il Capo dello Stato cercasse di verificare se in Parlamento esiste una maggioranza. Il secondo è un risultato elettorale infausto come storicamente capita a chi si rende responsabile della fine di una legislatura. Non ha convinto Bossi invece sull’altra sua idea, quella di allargare la maggioranza ai centristi di Casini e di Rutelli. Il leader della Lega è stato irremovibile. Non vuole gli ex democristiani, ma soprattutto coltiva l’idea di un centro-destra a trazione leghista senza impicci tra i piedi.



A questo punto, spuntata l’arma del voto, a Berlusconi non resta che il compito più difficile e forse a lui più sgradito. Cioè quello di contrattare i voti in Parlamento con i fuoriusciti di Futuro e Libertà. Per questi ultimi si annuncia un autunno non semplice. Il Pdl non ha rinunciato all’obiettivo di far dimettere Fini dalla presidenza della Camera, mentre prosegue la campagna stampa tesa a demolire l’immagine dell’ex leader di An. Fini è di fronte alla scelta più difficile della sua vita.



Non può stare fermo, ma neppure l’ipotesi di impegnare i suoi in una dura guerriglia parlamentare gli garantisce la prospettiva. Andrà da solo? Cercherà un accordo con Casini? Da tutto questo si capisce che il centro-destra è in piena ristrutturazione. I lavori in corso mettono in luce sia la fine del patto che nel ’94 contraddistinse la discesa in campo di Berlusconi, ormai rimasto solo con Bossi, sia la possibilità che a destra nasca per la prima volta un movimento di aperta contestazione del premier.

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Non sembrano tranquille le acque anche nell’altra parte dello schieramento. Gli oppositori di Berlusconi hanno il grande vantaggio di poter dire che a destra la grande maggioranza parlamentare ricevuta dagli elettori è stata dissipata. Il Pdl ha fatto la fine dell’Unione prodiana dissolta da inguaribili contrasti interni. Ma sul che fare emergono divergenze soprattutto nel Pd. Qui si confrontano tre linee.



 

 

Walter Veltroni, tornato in campo forse per gareggiare alle primarie, chiede il ritorno al partito a vocazione maggioritaria e combatte le ammucchiate antiberlusconiane. Il suo antico alleato Dario Franceschini vuole un’Alleanza di tutti gli oppositori per difendere la Costituzione. Pierluigi Bersani propone i cosiddetti due cerchi: in uno, chiamato Ulivo, in cui ci sono i partiti più affini, nell’altro in cui c’è posto per l’alleanza con i centristi.

 

 

Anche qui i lavori in corso si incrociano con il tema della leadership. Le future primarie vedranno in campo il segretario del Pd Bersani contrapposto a Nichi Vendola e al sindaco di Torino, Chiamparino. Qualcuno pensa che ci siano almeno altri due outsider, cioè Veltroni e il presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti. La sventata minaccia del voto anticipato invernale dà più tempo all’uno o all’altro schieramento. Ma non ne dà troppo. Probabilmente a marzo si voterà.