Pier Luigi Bersani ha inaugurato pochi giorni fa a Torino la Festa Democratica nazionale del Pd. Un appuntamento che si chiuderà il 12 settembre, proprio con il discorso del segretario. «Sarà l’occasione giusta per parlare dell’Italia che voglio e della nostra visione – dichiara Bersani a ilsussidiario.net -. Chi dice che alle mie proposte mancano i contenuti programmatici sappia che so di aver dovuto parlare un po’ in politichese. A volte serve anche quello, ma stiano tranquilli, proprio da Torino verrà fuori con chiarezza un progetto per il Paese».



Pochi giorni fa ha proposto un “nuovo Ulivo”: cosa offre di meglio questo modello rispetto a quello dell’Unione?

L’Ulivo è un’esperienza politica che allude a un patto forte, non riducibile a una convergenza programmatica. Una piattaforma unica che presuppone la disponibilità a lavorare insieme per una riorganizzazione strutturale del centrosinistra. Quella parola richiama poi all’idea che i partiti del patto si mettono al servizio di un movimento, di una riscossa civica della società. Riguardo all’Unione, dico che ci lasciamo alle spalle quell’esperienza, anche perché il sistema politico si è semplificato e alcuni soggetti, come ad esempio Rifondazione Comunista, non sono disponibili a patti elettorali e di governo.



Per spiegare la sua idea lei ha parlato di “doppio cerchio”. Può chiarire questo concetto?

Se vogliamo stare a questa formula giornalistica, c’è un primo cerchio del patto di governo che comprende i soggetti dell’alternativa, per intenderci quei partiti che oggi si definiscono di centrosinistra (Sinistra e Libertà, Italia dei Valori, ma anche i socialisti che oggi non sono in Parlamento o formazioni civiche e ambientaliste). C’è poi un cerchio più ampio, quello della convergenza sui temi democratici. Ognuno farà le proprie scelte, ma, in caso di emergenza, i due cerchi potrebbero anche avvicinarsi in un’operazione comune di governo.



Di che emergenza sta parlando?

Mi riferisco all’emergenza democratica e alle pressioni a cui oggi è sottoposta la nostra democrazia.

E in questo secondo cerchio si immagina l’Udc?

Non spetta a me dettare i compiti e i ruoli, offro solo un’occasione di dialogo. Dal mio punto di vista è assolutamente plausibile che l’Udc abbia un posto ravvicinato anche in sede di governo. Un passo in più rispetto alla convergenza sui temi democratici, che in parte si è già espressa fin qui.

Se questo è lo schema, il leader sarà naturalmente il segretario del Pd (come sostiene Marini) o la competizione per le primarie è già aperta?

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Non ho mai creduto agli automatismi e non è certo il tempo di mettere i cappelli sulle sedie. Ora dobbiamo fare un percorso politico e mettere in movimento un popolo. Quanto al voto, il Pd non ne ha paura, ma se si andasse a votare dev’essere chiaro agli italiani che le elezioni hanno un padre e una madre: Berlusconi e la sua crisi.

 

Nessun pensiero alle primarie, quindi, fino a quando non verranno annunciate nuove elezioni?

 

Non evocando elezioni non evoco nemmeno le primarie, se dovessimo ritrovarci alle urne comunque la nostra proposta, da confrontare con gli alleati, è chiara: primarie di coalizione. In quel caso verrà scelto di sicuro il candidato che avrà più possibilità di battere Berlusconi. Quando una coalizione è unita, infatti, l’unico obiettivo è vincere e le questioni personali non contano più. Per questo la competizione interna che i giornali stanno creando è ampiamente fuori contesto.

 

Ma qual è la sua previsione sull’attuale legislatura?

 

L’analisi che avevo fatto è ancora valida: siamo al secondo tempo del berlusconismo, il premier è ancora forte, ma non è più in grado di portare la palla avanti. Questo comporta dei rischi, dei colpi di coda, un imbarbarimento di cui tutti hanno potuto vedere segnali evidenti nel mese di agosto. I meccanismi di forzatura della democrazia, però, non convincono più nemmeno buona parte del centrodestra. Sono temi di fondo, ineliminabili. Ecco perché la maggioranza non potrà far altro che tentare la strada del traccheggiamento, ma questa legislatura non si concluderà in modo fisiologico.

 

Passando all’economia, Marchionne ha sfidato la politica, i sindacati e la stessa Confindustria a costruire un nuovo patto sociale. Qual è la sua risposta?

 

È semplice, questo nuovo patto lo voglio anch’io. Chiediamoci però se le cose che si stanno facendo vanno nella direzione giusta o se ci preparano invece a una nuova guerra tra guelfi e ghibellini. Sono il primo a dire che non si può prescindere, nei tempi moderni, dalla responsabilizzazione diretta dei lavoratori. Siamo in un nuovo secolo, in un tempo in cui i partiti, a cominciare dal mio, si pongono il tema della partecipazione democratica. Come possiamo pensare che i lavoratori non debbano essere chiamati a dire la loro quando si discute sulla loro pelle? Non può che essere così e la maggioranza decide per tutti, al netto di fondamentali diritti che devono essere garantiti. C’è però anche il rovescio della medaglia…

 

Quale?

 

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Si parla di regolazione del patto sociale, ma non di politica industriale. Perché nessuno si è accorto che non abbiamo il Ministero dello sviluppo economico? Siamo davvero convinti che in Germania le marche tedesche vadano meglio solo perché non hanno i tre operai di Melfi? Siamo seri, è un problema di politica industriale, di investimenti e innovazione. È lo stesso Marchionne a dire che il tema del costo del lavoro è un “di cui” del tema industriale.

 

Da ultimo, la festa nazionale del Pd è stata segnata dalle polemiche per il mancato invito del Governatore leghista Roberto Cota. È stato un errore? Si può ancora rimediare?

 

Ne approfitto per chiarire una volta per tutte. L’attacco sdegnato di Maroni, Calderoli e Tremonti è arrivato quando non era ancora uscito il programma. Per prima cosa direi che la buona educazione imporrebbe di alzare la cornetta del telefono. Secondo, si può decidere liberamente se partecipare o meno, ma non accetto che qualcuno si metta a dare ordini a casa nostra. Da ultimo, mi chiedo: a quale loro festa è stato invitato uno di noi?

 

Roberto Cota per voi è comunque il Presidente della Regione Piemonte a tutti gli effetti?

 

Assolutamente sì. Finché lo è. Siamo però stufi di ascoltare le lezioni dalla Lega. Predicano un radicamento sul territorio che sono i primi a tradire, parlano di “Roma ladrona” e stanno con i ladroni di Roma. Adesso stanno esagerando: gli faremo vedere che abbiamo più feste, più gazebo e che facciamo il porta-a-porta meglio di loro. La favola del radicamento leghista e del Pd sbarcato da Marte è una balla. Tutto ciò di buono che in Italia viene dal territorio (urbanistica, servizi sociali, asili, ecc., ecc.) viene dalle nostre culture. Ci esentassero dalle loro lezioni, gli inventori delle ronde.