La Camera ieri sera ha respinto la mozione di sfiducia al sottosegretario alla Giustizia Caliendo. In 229 hanno infatti votato con il governo, mentre le astensioni sono state 75. Se l’esito della mozione era scontato, alla luce dei numeri espressi si sono alzate le prime timide richieste di dimissioni dalle fila dell’opposizione.  Enrico Letta, vice segretario del Pd, già prima del voto aveva dichiarato: «Se la fiducia a Caliendo sarà sotto i 315 voti, la maggioranza non esisterà più, il che dovrebbe comportare per Berlusconi l’obbligo non giuridico, ma politico delle dimissioni».



Anche se il premier non si dimetterà la scelta di astenersi al pari di Udc, Mpa e Api preannunciata dei finiani apre nuovi scenari, nei quali le elezioni anticipate non sembrano più così lontane. «Non è stato comunque un bel segnale – dice il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli a IlSussidiario.net -. “Futuro e Libertà” non è un partito, ma un gruppo parlamentare eletto coi voti del Pdl che ha dichiarato, al momento della nascita, la propria fedeltà al governo. Per questo era lecito aspettarsi che scegliesse il Pdl come primo interlocutore con cui discutere la posizione da prendere. È abbastanza curioso che invece, a pochi giorni dalla scissione, i finiani si intendano direttamente con le forze dell’opposizione».

Ministro, alla luce di quanto accaduto quanto rischia il governo?



La questione è molto semplice e va posta in questi termini: se la maggioranza è in grado di rispettare il programma e gli impegni che ha preso con gli elettori va avanti, altrimenti ha il dovere di rimettersi al giudizio del popolo con il voto.

Se la sente di escludere ogni ipotesi alternativa: larghe intese, nuove maggioranze o magari un governo tecnico guidato da Giulio Tremonti?

Nella maniera più assoluta. Non ci sono possibilità che si ridiscuta il programma, che si pensino a maggioranze diverse da quella scelta dagli elettori, a ingressi dell’Udc o di qualcun’altro. Siamo pronti, se necessario, a ripresentarci con Silvio Berlusconi davanti agli italiani.



La Lega Nord non ha tutto l’interesse a mettere in cassaforte il federalismo prima di affrontare ipotesi di questo tipo?

Il federalismo è in cassaforte se si rispetta il programma. Se qualcuno non ha intenzione di farlo meglio non perdere tempo. Non è certo una consuetudine, ma visto che la finanziaria è stata fatta in luglio se serve si può votare anche in autunno. Per quanto riguarda il federalismo, comunque, siamo vicini all’obiettivo.

Ci spieghi meglio.

Il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legislativo sull’autonomia impositiva dei comuni, a breve poi passeremo a province e regioni. La tabella di marcia prevede per settembre questi decreti, compreso quello relativo ai costi standard nel settore della sanità. Raggiunti questi obiettivi direi che il grosso è fatto, basti pensare che la sanità interessa l’85% delle spese di una regione. Bisognerà poi fare lo stesso riguardo a istruzione e assistenza, ma stiamo parlando di cifre molto meno rilevanti. Sottolineo poi anche un altro aspetto.

Quale?

Più si anticipano i decreti attuativi sul federalismo fiscale e l’introduzione dei costi standard prima si potranno premiare i comportamenti virtuosi degli enti locali, sanando in pratica i contrasti che erano emersi nel corso della discussione della Manovra.

A una settimana dalla scissione tra Berlusconi e Fini è arrivato alla conclusione che fosse da evitare o, al contrario, che sia stata tardiva?

 

Ripensando alle dichiarazioni della “minoranza finiana” degli ultimi mesi devo dire che l’epilogo non poteva che essere quello. Personalmente però ho sempre sostenuto che era urgente un chiarimento definitivo tra i due, senza falchi, colombe e intermediari. La Direzione Nazionale nella quale erano esplose le differenze tra Berlusconi e Fini forse era l’occasione migliore per arrivare a una soluzione, ma l’importanza della Manovra ha fatto prevalere la ragion di Stato e ha rimandato la risoluzione del problema. 

Per la Lega Nord cos’è cambiato? Non ha più un interlocutore unico?

Non è cambiato nulla. Il nostro unico interlocutore resta Silvio Berlusconi. Il gruppo di Fini rimane una costola del Pdl. L’unica cosa che conta in questo momento è che ognuno rimanga fedele al programma che, ricordo, porta le firme di Berlusconi, Bossi e Fini.

Si aspettava che l’ex leader di An avesse questo seguito?

Guardi, le previsioni sono sempre fatte per essere smentite, ma le fonti del Pdl ci dicevano che Fini aveva dalla sua parte circa una ventina di parlamentari. Berlusconi ci aveva preannunciato lo strappo e probabilmente su questo è stato informato male, ma non voglio entrare in questioni che non mi riguardano.  

Tornando a quanto accaduto ieri, è già nato un “terzo polo” in difesa del Sud guidato da Fini, Casini e Rutelli o sono esagerazioni giornalistiche?

A me sembra più una riedizione della Democrazia Cristiana che, a differenza di quella “vecchia maniera”, non nasce dal basso, ma dal Palazzo. Per quanto riguarda il Sud penso che uno dei grandi meriti di Berlusconi sia stato quello di stipulare un patto con la Lega per risolvere unitariamente la Questione meridionale e quella settentrionale. È da questa alleanza che è nato un federalismo fiscale solidale che contiene anche elementi di competitività e di lotta allo spreco. Chi realizza un polo contro qualcuno non ha prospettive perché quando si governa si ha la responsabilità di tutto il Paese, non solo di una parte.

(Carlo Melato)