Si è tornati a parlare di legge elettorale. La rottura tra Berlusconi e Fini, il venir meno della maggioranza coesa votata dagli elettori nel 2008, l’eventuale scioglimento delle Camere da parte del Capo dello Stato, la ricerca di soluzioni alternative, le mosse di D’Alema e dei centristi, sono gli ingredienti di uno scenario eccezionalmente mutevole e difficile da decifrare. Il sussidiario ne ha parlato con Angelo Panebianco, politologo ed editorialista del Corriere, che sul quotidiano di via Solferino, sabato scorso, ha firmato un manifesto per l’uninominale.
Professore, si è riaperto il problema di una riforma del sistema elettorale. Perché?
La ragione è semplice: le divisioni dentro la maggioranza fanno sperare a qualcuno che si possa arrivare ad una caduta del governo Berlusconi. Poiché l’opposizione non vuole andare alle elezioni subito, pensa ad un qualche governo, di emergenza o «tecnico», che faccia una riforma elettorale in grado di consentire all’opposizione – in particolare il Pd – di tenere agganciate da un lato le forze alla sua sinistra, Vendola per intenderci, dall’altro l’Udc. D’Alema lo ha detto in modo chiaro: vuole un sistema proporzionale con soglia di sbarramento per creare un’alleanza di centrosinistra in grado di spodestare Berlusconi.
È l’eterna riproposizione di un sistema proporzionale alla tedesca.
E sarebbe un passo indietro, perché il sistema elettorale maggioritario misto – per due terzi maggioritario e per un terzo proporzionale – che adottammo nel ’93 e, nonostante tutto, anche il sistema elettorale successivo, cioè il “porcellum” di Calderoli del 2005, almeno una cosa l’hanno data: il fatto che i cittadini scelgono uno schieramento e se esso vince, governa. Non da ultimo, il bipolarismo legato a tali sistemi ha consentito l’alternanza.
Lei è tra i firmatari di un appello per l’uninominale puro: quali sarebbero i vantaggi?
Sono convinto che il sistema attuale abbia gravi problemi. Intanto ne ha uno tecnico: essendo calcolato su base regionale il meccanismo distributore dei seggi crea una differenza nel sistema elettorale della Camera e in quello del Senato che facilita maggioranze diverse. È vero che questo potrebbe verificarsi anche con un altro sistema elettorale, perché l’elettore ha due voti e può decidere di votare in modo diverso per Senato e Camera. Nessun sistema elettorale scongiura questo fatto, ma il “porcellum” lo rende ancora più probabile. Questo fa sì che questo sistema elettorale non dia garanzie solide sulla governabilità.
Al tempo stesso, come fanno i sistemi proporzionali senza preferenza, implica liste bloccate.
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È la rottura di un rapporto diretto tra l’elettore e l’eletto, paracadutato dentro una lista decisa dai partiti. Per l’elettore significa prendere o lasciare. Questo fa tanto scandalo, ma tutti i sistemi proporzionali senza preferenza, che sono quelli più in voga in Europa, sono così. Il nostro sistema è ulteriormente complicato dal fatto che unisce al proporzionale il premio di maggioranza. Quest’ultimo in realtà è l’unico elemento che ha consentito il bipolarismo.
Riassumendo, professore?
Attualmente ci sono tre posizioni: la prima è quella di chi difende questa legge. Poi c’è chi la vuol far saltare facendo saltare il premio di maggioranza, e con esso il bipolarismo: sono i fautori del sistema tedesco. E infine chi dice: salviamo il bipolarismo e sostituiamo questa legge poco efficiente con un sistema uninominale puro, cioè senza quota proporzionale. Io sono tra questi ultimi.
Nell’attuale maggioranza a chi la pensa come lei si obietta che i collegi uninominali erano già previsti dalla legge Mattarella, ma quel sistema non ha impedito due ribaltoni.
Ma chi dice questo dimentica – si fa per dire – che il sistema elettorale del ’93, maggioritario con quota proporzionale, non funzionò a dovere perché si fece in modo di «proporzionalizzare» il maggioritario: la quota proporzionale funzionò da «cavallo di Troia» e impedì che i grandi partiti diventassero ancora più grandi. In altri termini, noi un’esperienza maggioritaria pura non l’abbiamo mai avuta. Ecco perché chiediamo un uninominale puro, che spazzi via ogni residuo di proporzionalità. I ribaltoni tuttavia possono sempre verificarsi, perché non dipendono solo dalla legge elettorale ma una serie di condizioni riferite all’intero assetto costituzionale.
Molti sottolineano la perdita di «centralità» del Parlamento perché esso sarebbe costituito da personale politico cooptato.
La formula «centralità del Parlamento» è tipica della Prima repubblica, che assumeva il Parlamento come la sede decisionale fondamentale. Nei sistemi di tipo maggioritario le cose non stanno così: lo schieramento che sostiene il governo lo sostiene compatto e basta. Vada a spiegare ad un deputato conservatore o laburista che ha una sua «centralità» e che quindi ha diritto ad un’autonomia dal governo: la guarderebbe come si guarda un marziano.
La sostituzione delle liste bloccate alle preferenze aveva proprio lo scopo di «vincolare» il volere del singolo parlamentare a quello del leader di partito. Lo scontro Berlusconi-Fini non può essere visto come la smentita di questo tentativo?
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La lista bloccata sarà anche stata fatta con lo scopo di rendere tutti ligi all’unico leader, ma la rottura tra Berlusconi e Fini è frutto della variabilità della politica: entrambi sono cofondatori ed entrambi hanno i loro uomini. Questa è la politica, che non può essere decisa fino in fondo da leggi elettorali.
A che cosa prelude secondo lei la situazione attuale, con tutti i sommovimenti interni alla maggioranza che vediamo?
Se dovessi scommettere, lo farei sul fatto che in primavera si va a votare. E a votare con questa legge elettorale. A meno che non ci sia una qualche risoluzione del conflitto tra Berlusconi e Fini. L’operazione che D’Alema e altri vorrebbero fare – un governo a termine che cambi la legge elettorale – mi sembra difficile da realizzare. Non ci saranno riforme e mi pare che sarà difficile perfino il federalismo, perché non credo che la componente di Fini sarà disponibile a concedere così tanto a Tremonti e alla Lega.
Cosa potrebbe significare votare con questa legge, dopo la rottura Fini-Berlusconi?
È probabile che il Parlamento risulti ingovernabile, proprio a causa delle caratteristiche del “porcellum”, che enfatizza i premi regionali e comporta una elevata probabilità di maggioranze dissimili tra Camera e Senato.
(Federico Ferraù)