In pochi se sono accorti (ma sono convinto che se ne sarà accorto certamente Filippo Ceccarelli che prima o poi vi dedicherà una delle sue impareggiabili pennellate su Repubblica) che ci sono, allo stato, ben tre movimenti politici postdemocristiani a guida avellinese: la “Dc per le Autonomie” di Gianfranco Rotondi, l’”Alleanza di Centro” di Francesco Pionati e “Noi Sud” di Arturo Iannaccone, il meno conosciuto dei tre, ma che in Irpinia tutti ricordano come storico responsabile giovanile della Dc di De Mita.
La questione sarebbe degna o dei cultori della materia (come Ceccarelli) o di inguaribili provinciali (come chi scrive) se non fosse che il gruppo di responsabilità di cui si parla vede come principali protagonisti all’opera, o potenziali destinatari dell’iniziativa, proprio i suddetti esponenti irpini della maggioranza. Appunto, della maggioranza.
Pionati, eletto con un simbolo su cui campeggiava in rosso, in grande, la parola “Casini”, ha già da tempo virato verso la maggioranza, rompendo con l’Udc che l’ha candidato. Iannaccone che era nell’Mpa, ha fondato con Enzo Scotti il suo movimento proprio per restare nella maggioranza, di fronte alla virata verso il centro e verso il Pd del suo ex leader Raffaele Lombardo.
Per non dire di Rotondi, che al momento non è della partita, ma con Carlo Giovanardi sta seguendo l’evolversi dell’iniziativa per capire il da farsi. Dunque, ecco l’obiezione: se questo gruppo di responsabilità nasce per portare nuovi voti alla maggioranza né loro, né Nucara mi pare rappresentino nuovi apporti per la stessa, alla ricerca della famosa quota 316 che la renderebbe indipendente dai veti, e dai voti, di Gianfranco Fini.
Agli occhi di un osservatore provinciale l’operazione può quindi riuscire nel miracolo di un rassemblement post-democristiano avellinese, ma davvero non si vede quale utilità possa portare al presidente del Consiglio che, inopinatamente, vi sta dedicando tanto del suo tempo, ricevendo ora Nucara ora Pionati ora non so chi, per aggiungere o togliere nomi su un foglietto.
Certo, quest’area può costituire una zona di atterraggio morbido per i tre Liberaldemocratici, e soprattutto per i cinque siciliani capeggiati dal segretario regionale dell’Udc Saverio Romano che ha dichiarato a Chianciano: «Sulla mia tomba ci sarà scritto “non cambiò bandiera”», e ora se la cambia dovrà fornire una spiegazione credibile.
Ma allora parliamo del caso Sicilia. L’intervista di Calogero Mannino a IlSussidiario.net, alza il livello del confronto – ma anche i toni dello scontro – con Casini, tanto da configurarlo come irrimediabile. C’è qualcosa di incomprensibile in questa questione emersa quando già era irrisolvibile.
Non è facile capire cosa ci sia sotto, probabilmente c’entra anche il problema del personalismo di cui soffrono tutti i partiti della Seconda Repubblica, soprattutto nell’era in cui è possibile, da parte del leader, nominare i parlamentari. Ma di sicuro c’è anche una questione tutta siciliana, un’incompatibilità creatasi con il governatore Lombardo, che costringe, evidentemente, l’Udc siciliana a cercare altri approdi.
Ma anche se al gruppo di responsabilità (o “legione straniera” come la chiama Berlusconi), venissero nuovi apporti «da tutte le opposizioni», come assicura Pionati, l’operazione comunque – a mio sommesso avviso – sarebbe destinata a rilevarsi, per il premier, a saldo negativo: in grado di portare cioè più problemi dei vantaggi che in apparenza comporta.
Berlusconi è davvero convinto, con una maggioranza che si è mostrata traballante con 100 deputati in più (per via delle assenze e dei doppi, tripli incarichi nel Pdl) di poterla ora gestire – quand’anche fosse – con uno-due deputati in più, mandando a mare Fini? No di certo, ed è quindi chiaro che lui conta anche sulla lealtà della maggioranza del gruppo finiano, come pure sulla correttezza dell’opposizione dell’Udc, sui temi economici e della giustizia, soprattutto.
Ma allora: non era il caso di puntare, come pure sembrano suggerirgli autorevoli esponenti della maggioranza (Cicchitto e Gasparri ad esempio) a un accordo alto (con Fini nella maggioranza, con l’Udc all’opposizione, e in definitiva anche con il Quirinale) su un pacchetto di riforme, dalla giustizia, al fisco familiare, al Mezzogiorno?
Così, è vero, se gli riesce l’operazione (ma è tutto da vedere), Berlusconi si fa una polizza assicurativa che gli consentirà una navigazione abbastanza tranquilla per un po’ di tempo. Ma con l’effetto di spingere Casini e Fini sempre più verso il terzo polo, chiudendosi lui, invece, in una maggioranza (che è minoranza nel Paese, dati alla mano) tutta imperniata nell’alleanza con Bossi. Ma com’è possibile, vien da chiedersi, che all’alleato leghista Berlusconi consenta tutto e agli alleati con cui siede insieme nel Ppe, nulla, proprio nulla?
Il presidente del Consiglio mi ricorda un po’ la mia personale vicenda con la chimica: sono certo di averla studiata a scuola, ma evidentemente non mi andava proprio e nella mia memoria non ne è rimasta traccia: pari pari lui è da 17 anni alle prese con il Parlamento, ma le mediazioni, spesso estenuanti che esso comporta, le rifugge come la lebbra, e allora spera di risolvere tutto con una chiacchierata ad Arcore con Bossi, il quale poi, una volta trovato l’accordo, mette in riga i suoi, così come poi fa lo stesso Cavaliere.
Credo però che Berlusconi sbagli, in questo delicato frangente della sua avventura politica avrebbe potuto e dovuto fare della sua debolezza apparente la sua forza: volare alto, superare le incompatibilità personali con Casini e Fini, andando dritto alle loro argomentazioni e accogliendole, se giuste. Per ora si naviga a vista, da qui al 29 il Cavaliere può ancora stupirci.