La nuova frattura nel Pd rivela la fragilità delle due costruzioni politiche emerse dal voto di oltre due anni fa. Il Pdl scopre di non riuscire a contenere tutte le destre e il Pd di non poter contenere tutte le sinistre.

Veltroni si è messo a capo di una minoranza che rivendica il ritorno allo spirito originario del Lingotto. Per far questo ha aggregato attorno a sé un gruppo di parlamentari fedeli, ma soprattutto quella componente che fa capo a Fioroni che era stata la più riottosa a dare il via alla nascita del Partito Democratico.



Queste componenti sono unite da un’aspirazione comune, quella del superamento del concetto di sinistra. Veltroni vuole andare oltre la sinistra, Fioroni fa leva su quella componente cattolico moderata che ha sempre osteggiato l’ipotesi di mescolarsi con la sinistra. L’altro schieramento, quello maggioritario che fa capo a D’Alema e Bersani, invece, intende riprendere lo spirito originario dell’Ulivo come alleanza fra sinistra e moderati.



Fin dove potrà spingersi questa spaccatura? Il rischio di una scissione c’è malgrado i promotori del documento dei 75 si siano affrettati a negarlo. Soprattutto la componente che fa capo a Fioroni  non perde occasione per denunciare il rischio di una riedizione dei vecchi Ds. Così come Fini sostiene che il Pdl è una Forza Italia allargata, così Fioroni e Gentiloni temono che il Pd si riveli una partito di sinistra sotto camuffate spoglie. Fini se ne è andato e non sarei sorpreso se al temine di un lungo scontro interno anche Fioroni e Gentiloni facessero la stessa scelta.

 

È fondato il loro timore? Per molti aspetti non lo è. Il declino del Pd come partito a vocazione maggioritaria non è frutto di una scelta del leader attuale ma l’esito di una sconfitta politica.



La scommessa del Pd era fondata sulla possibilità dell’affermarsi del bipartitismo. Il bipartitismo non è mai nato, anzi, ci sono segni concreti di una crisi persino del  bipolarismo. Il panorama politico in questi due anni è profondamente cambiato. Il Pdl si sta disgregando in molte regioni, si afferma la Lega, Fini trova consensi alla sua idea di un nuovo partito di destra. Dall’altro lato rinasce la sinistra radicale guidata da Nichi Vendola, si conferma Di Pietro assediato dai grillini. Al centro Rutelli e Casini sanno di poter contare su un buon consenso elettorale.

Le prossime elezioni le vincerà non un partito a vocazione maggioritaria, ma quel partito che saprà aggregare una più vasta alleanza. Questa è la sfida di Bersani e per far questo il leader del Pd deve aggregare attorno a sè  un blocco elettorale riformista che faccia perno sull’idea di una sinistra democratica. Insomma deve rimettere in sella la strategia di Prodi, tentando di essere lui il nuovo Prodi.