«Per sciogliere il complicato nodo del rapporto tra politica e giustizia, che si ripropone ormai da anni in Italia, penso che la strada maestra consista nel ripristinare l’immunità parlamentare».
Antonio Baldassarre, costituzionalista e presidente emerito della Corte Costituzionale, indica a IlSussidiario.net una possibile soluzione allo squilibrio dei poteri dello Stato, nei giorni in cui la legge sul legittimo impedimento torna all’esame della Corte Costituzionale.



«L’abolizione dell’immunità nel 1993 fu un grave errore, in parte giustificato dal clima che si era creato in quegli anni. Gli scandali a quei tempi erano all’ordine del giorno, così come gli abusi, visto che l’autorizzazione a procedere non veniva quasi mai concessa. Detto questo, le cose oggi sono cambiate, così com’è cambiata la giurisprudenza della Corte Costituzionale, che su questa materia può esercitare un controllo».



Nell’attesa di una soluzione sostanziale al problema la politica torna intanto a interrogarsi sulla decisione che prenderà la Consulta e sulle sue conseguenze. L’udienza pubblica si è svolta ieri, mentre per domani è prevista la sentenza sulla legge-ponte che per dieci mesi eviterà al Presidente del Consiglio di doversi difendere nei processi Mills, Mediaset e Mediatrade.

Al vaglio i ricorsi dei giudici di Milano che contestano la violazione degli articoli 138 e 3 della Carta.  «Preferisco non avventurarmi in un giudizio su ciò che la Corte potrà decidere – prosegue Baldassarre -, ma non credo molto alle soluzioni intermedie (come ad esempio la cosiddetta “illegittimità parziale”) che vengono prospettate sui giornali. O il legittimo impedimento verrà dichiarato incostituzionale o verranno rigettati i ricorsi. Di conseguenza la responsabilità del legittimo impedimento ricadrà sul Presidente del Consiglio (disciplina attuale) o sul giudice che, a quel punto, avrà il potere di accertare l’esistenza dell’impedimento».



Ma qual è il suo giudizio generale sulla legge? «La disciplina del legittimo impedimento è molto meno invasiva rispetto alle ipotesi del passato perché si basa su un semplice concetto: in ragione delle sue attività istituzionali il premier non può presenziare ai processi che lo riguardano. Per questo non si può definire immunità, fa valere infatti una ragione legata all’attività istituzionale. Devo dire che effettivamente ha una sua logica».

Facendo un passo indietro, le precedenti decisioni della Corte su Lodo Alfano e Lodo Schifani sono state coerenti? «I due precedenti giudizi erano tra loro abbastanza coerenti, ma si trattava di vere e proprie immunità. Il caso in esame in questi giorni è invece assolutamente nuovo. Per questo, non si possono dedurre delle indicazioni sulla base delle precedenti decisioni».

Alla luce della sua esperienza di Presidente, la situazione generale del Paese, gli appelli alla stabilità del Presidente della Repubblica e il verdetto del voto di fiducia del 14 dicembre potranno influenzare in qualche modo i quindici giudici che si riuniranno in camera di consiglio? «La decisione non verrà presa sulla base dei convincimenti personali riguardo a quale sia la soluzione migliore per il Paese. Detto questo, la situazione generale dell’Italia sarà sempre presente. I giudici della Corte non vivono di certo in una torre eburnea… A questo punto comunque non resta che aspettare. La sentenza avrebbe dovuto arrivare il 14 dicembre, ma la contemporaneità con il voto di fiducia ha fatto propendere per un saggio rinvio. Adesso è opportuno sciogliere questo nodo, altrimenti sarebbe un brutto segnale per il Paese».

Con la speranza che si giunga in un futuro non troppo lontano a una soluzione più duratura e seria, come prospettato da lei all’inizio? «Direi di sì. È noto che per ripristinare l’immunità parlamentare prevista dalla Costituente occorre la maggioranza dei due terzi in ciascuna della camere, se non si vuole incorrere nel referendum. Sono però convinto che i tempi siano maturi perché la politica trovi un’intesa per raggiungere questo obiettivo».

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