È dal 1994 che in Italia assistiamo a due cartoni animati sempre con la stessa coppia di rivali. Il primo  “Tom e Jerry” – sullo schermo di destra – è quello tra la Procura di Milano e Silvio Berlusconi, il secondo “Tom e Jerry” – sullo schermo di sinistra – ha come protagonisti Massimo D’Alema e Walter Veltroni.



Risultato: per quanto riguarda il primo cartone l’Italia sembra oggi spaccata a metà tra chi crede che siamo governati  da un mascalzone che ci ha messo nelle mani di un’associazione a delinquere e chi è convinto che  tra i magistrati  vi sia un’associazione a delinquere. Mediazioni e coesistenze non risultano molto agibili.



Periodicamente nel corso di oltre diciassette anni si è annunciato che eravamo allo “scontro finale”, ma la serie continua e lo spettacolo è sempre più rude. Nel 1994 Silvio Berlusconi era accusato di aver dato soldi alla Guardia di finanza che svolgeva accertamenti sulla sua attività imprenditoriale, poi sembrava che si fosse giunti alla “soluzione finale” con il famoso teste chiamato, appunto, “Omega”.

Negli anni successivi siamo arrivati addirittura alle accuse di mafia e stragi. Ora sembra che il pasticcio dei 41 bis cancellati riguardi altri statisti e si è passati alla richiesta di un processo per “direttissima” – data l’evidente colpevolezza – per concussione presso la Questura di Milano e uso di prostitute minorenni. Quale altro politico o semplice cittadino in Italia è stato incriminato per una simile sequenza temporale e ventaglio di reati dal 1994 a oggi? Persecuzione oppure patologico istinto a delinquere? 



Sostanza: da un lato abbiamo un presidente del Consiglio che già messo nel mirino  nel 2009 per una escort è andato avanti con leggerezza e imprudenza, come se niente fosse, attorniandosi sempre più di gente che era meglio perdere che trovare. Dall’altra parte, dopo che abbiamo letto sui giornali che per la magistratura nella telefonata di Berlusconi in Questura non vi era nulla di penalmente rilevante, quella stessa telefonata è invece il reato più grave che si trascina dietro una carovana di misfatti e malfattori.

È così che a scopo di indagine la residenza del capo del governo (e sede del vertice del principale partito italiano) è stata spiata e chiunque vi fosse entrato poteva essere un delinquente.
Il dato di fatto è che la fiducia verso il governo e la magistratura non solo non sono sentimenti condivisi tra gli italiani, ma è molto dubbio che possano tornare a esserlo in un prossimo futuro.

La via d’uscita invocata da una parte e dall’altra è sempre e solo l’eliminazione o di Tom o di Jerry. Berlusconi minaccia leggi che impediscano un “uso politico della magistratura” e gli altri sperano in un rito abbreviato con rapida e infamante condanna. 
Ma perché non è percorribile la strada maestra e cioè: un governo alternativo, di sinistra (o centro-sinistra)?

E qui veniamo al secondo cartone animato: il Tom e Jerry della sinistra italiana.
Berlusconi è stato infatti sconfitto due volte in campo aperto elettorale, ma in entrambi i casi si trattava di un Prodi che si rivelava nel giro di poco tempo un uomo di paglia con alle spalle gli ex Pci che gli scavavano la fossa.

Infatti la storia della sinistra italiana dal 1994 è la storia di una “matrioska” (o serie di “scatole cinesi”) che vede l’ex Pci di volta in volta inglobare la componente maggioritaria secondo il primeggiare di una dialettica incardinata sulla contrapposizione D’Alema-Veltroni. Si comincia con la sostituzione di Occhetto dopo la sconfitta della sua “gioiosa macchina da guerra”: da un lato Massimo D’Alema che sin dal 1989 aveva tallonato Occhetto svolgendo un ruolo frenante e rassicurante in nome della continuità e della salvaguardia della tradizione e diversità comunista, dall’altro Walter Veltroni che recuperava i resti di Occhetto valorizzando le sue rotture e promettendo maggior innovazione.

Si è così impostato il Tom “duro” dal partito-apparato e lo Jerry “buonista” dal partito leggero. Una dialettica reale, ma sostanzialmente – dal punto di vista storico e politico – bloccata nel senso che entrambi si sono nel corso di questi anni “legittimati” fondando la propria identità e vocazione nel richiamo a Enrico Berlinguer e trovandosi insieme “al dunque” – recitando l’uno (Veltroni) la parte del “poliziotto buono” e l’altro (D’Alema) del “poliziotto cattivo” – nell’evitare che potessero emergere  leadership di matrice non comunista, strozzando nella culla ogni emergente non di estrazione comunista ed espellendo o mettendo in cantina, colpo su colpo, riformisti comunisti, riformisti socialisti e riformisti cattolici. L’apertura verso il centro è sempre stata fatta a bocca spalancata e mostrando dentatura possessiva. In modo  strumentale e mai sulla base di una revisione critica.

D’Alema e Veltroni hanno quindi rivaleggiato e si sono contesi la leadership (come primato o della politica o della società civile), ma sempre presentandosi come gli eredi di Berlinguer. Quello di Veltroni era un Berlinguer “kennedyano” e “anticomunista”, quello di D’Alema era un Berlinguer  più primato della politica (ovvero dell’apparato) e dello scontro frontale. Ma il Berlinguer di entrambi era la “diversità” in Italia  e l’“oltre” terzomondista nella condanna del sistema economico e politico dell’Italia repubblicana.

In Italia – questo il loro comune dogma – senza il Pci non vi era stata ricostruzione democratica, ma restaurazione capitalista. Il loro berlinguerismo significa in particolare l’“ultimo Berlinguer”, quello che mette in minoranza nel Pci Napolitano e i “miglioristi” e si contrappone al socialismo europeo condannando la socialdemocrazia “anche quella seria”. Rigido sia in D’Alema sia in Veltroni è sempre stato il richiamo al giustizialismo, la legittimazione ricevuta da “Mani Pulite” e la speranza nell’“arrivo dei nostri” da parte di magistrati.

Il fatto che la sinistra italiana sia stata egemonizzata da una dialettica che da un lato rivendicava la continuità con Berlinguer e dall’altro affidava alla magistratura il compito della sconfitta dell’avversario ha creato un vuoto di alternativa nella scena politica. Dal Pci-Pds, vagheggiando un “nuovo Pci”, tra Cosa1 e Cosa2, sono diventati “Democratici di sinistra” e poi “Democratici” sopravalutando la tradizione comunista e sottovalutando la tradizione cattolica e socialista.

Il Tom e Jerry della sinistra italiana è una contrapposizione forte, ma all’interno di un gruppo postcomunista molto autoreferenziale che ha sempre ritenuto comunque il Pci il meglio della storia d’Italia e non ha mai accettato di riconoscere il valore di quanto hanno realizzato i non comunisti. Rimane in D’Alema e Veltroni il mito dell’“Altra Italia” e del ruolo giacobino dei “contropoteri”.

Di fronte a Berlusconi è quindi prevalso un attendismo da parte del Pd che sta rivelando tutta la sua fragilità di fronte all’incalzare da un lato di Vendola e dall’altro dei Di Pietro e Grillo.
Tutte le speranze tornano quindi a essere riposte nella magistratura e cioè che per via giudiziaria si riesca a realizzare nel 2011 ciò che era fallito nel 1994: il bipolarismo imperniato su post-comunismo e post-fascismo.

Riuscirà ad andare in porto il disegno di tornare a prima di Berlusconi, ripristinare la dialettica dell’autunno 1993 – all’ombra di “Mani Pulite” – con un centro-sinistra guidato da D’Alema e un centro-destra guidato da Fini?
Chi attribuisce alle Procure doti da “king maker” dà prova di non poca imprudenza e leggerezza ed è stato già deluso in passato.  Il risultato di Tangentopoli non è stata la dialettica tra ex comunisti ed ex fascisti, ma  la vittoria di Paperon de’ Paperoni.

In oltre diciassette anni con questi due Tom e Jerry – ridendo e scherzando – si sono intanto accumulate macerie nella vita nazionale che sarà impresa non da poco rimuovere e impossibile dimenticare, sanarne ferite e veleni che comunque, allo stato attuale, continuano ogni giorno ad aumentare e a intossicare.

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