Caro direttore,
I pm hanno già perso, ma Silvio Berlusconi non vincerà mai più: o meglio, le elezioni forse sì, ma la gara per l’affetto e la stima universali, quella che agogna vincere da sempre, ebbene, quella no. E gli italiani, da spettatori non paganti dello scontro surreale tra il premier e la Procura di Milano, non ci stanno capendo più niente. Quel che sapevano, o pensavano, di Berlusconi e della magistratura prima dello scandalo Ruby, è ancora lì, intatto, senza modifiche apprezzabili ma se mai – se possibile – con qualche grammo di ulteriore sicurezza in meno. Andiamo per ordine.
Perché i pm hanno già perso? Perché – salvo clamorose smentite dell’ultima ora portate da qualche “prova regina” non ancora squadernata sui media – la dimostrazione che il premier abbia davvero commesso i due reati contestatigli non c’è e non potrà mai arrivare. Che Berlusconi abbia “concusso” la Questura di Milano con la famosa telefonata in cui chiedeva di affidare Ruby alla consigliera regionale Minetti è oggettivamente soltanto un’interpretazione, che le conversazioni intercettate e i verbali resi dai funzionari e dagli agenti non confermano in modo indiscutibile.
La concussione, cioè il condizionamento del pubblico ufficiale sul privato (in questo caso, un altro pubblico ufficiale) a fini di interesse personale può avvenire per costrizione (“O mi paghi la tangente o non ti concedo l’appalto che meriteresti”) o anche per induzione (“lo sai che se mi vieni incontro te ne troverai contento?”). Sarebbe stata quest’ultima la condotta del premier che, telefonando in Questura e qualificandosi, avrebbe creato una situazione di induzione: il capo del governo che chiede un favore a un Questore! Peccato, però, che – favore o non favore – le procedure formali la Questura le aveva seguite tutte, con buona pace dell’autorevolezza del raccomandante, e che lo stesso procuratore capo di Milano Bruti Liberati aveva asseverato la correttezza procedurale di questi comportamenti.
La giudice di sorveglianza, la brava Fiorillo, aveva risposto al telefono, ricordava e non ricordava i dettagli di quelle telefonate – l’ha detto onestamente lei stessa – pur avendo ribadito di aver lasciato come ultima indicazione quella di cercare, per la ragazza, una comunità cui affidarla all’indomani mattina. Ma, come dire, verba volant… Peraltro, l’affidamento poi deciso della minorenne nelle mani della consigliera regionale Minetti era di livello istituzionale teoricamente sufficiente a garantire il risultato voluto, ed è semmai stata poi responsabilità personale della stessa Minetti quella di aver girato la patata bollente alla prostituta brasiliana che raccolse Ruby, quella notte. Insomma: ben difficilmente questa concussione sarà documentabile.
Quanto all’altra accusa, di aver favorito la prostituzione minorile, la certezza che Berlusconi abbia fatto sesso con Ruby, conoscendone la vera età, quand’essa non aveva ancora compiuto i diciotto anni… può anche apparire presumibile, quasi logico, ma provarlo è tutt’altra cosa, solo i due interessati sanno com’è andata. Il premier nega, la ragazza per ora anche, e comunque evidentemente non è sulle sue testimonianze, così contraddittorie e confuse come sono state, che si potrà formare mai una prova.
Cosa resta, allora, del nuovo, immane polverone? A carico della Procura resta l’ennesima replica di un copione che va in scena da diciassette anni, cioè l’affannoso inseguire prove di reato contro Berlusconi che non si raggiungono mai, vuoi per le leggi ad personam, vuoi per le testimonianze compiacenti, vuoi perché forse questi reati non ci sono mai stati, o non tutti, col risultato però di aver dato nel frattempo all’Italia l’immagine di voler attuare una persecuzione personale senza precedenti, con uno sperpero di risorse pubbliche che effettivamente è difficile negare.
A carico di Berlusconi resta qualcosa di più dell’immagine istantanea di una vita punteggiata da frequenti eccessi para-sessuali, cioè di comportamenti che vanno al di là dell’edonismo per sconfinare nel vasto e insondabile campo della auto-suggestione, della droga psicologica. A carico del premier resterà scolpita per sempre nella memoria di tanti la telefonata consapevolmente mendace alla Questura in cui, per ottenere il risultato di non far arrestare Ruby, la presentava come la nipote di Mubarak (“Ci è stata segnalata come…”, un modo per poter poi addossare ad altri la colpa dell’errata informazione, però intanto adoperata per persuadere); e al di là delle sconce o imbarazzanti o soprattutto prevalentemente rattristanti conversazioni tra le ragazze, resterà quella sua frase, riferita da Lele Mora: “Tante sere il presidente mi chiamava e mi diceva: sono qua solo… Ho letto in un libro che uno può essere potente, ricco, tante cose… ma alla sera, si spengono le luci, si spengono i riflettori, e sei solo”.
C’è tanto di vero, in questa sintesi involontariamente feroce di Lele Mora sul conto di Berlusconi. L’uomo più potente e, senz’altro a sentir lui, più amato d’Italia, la sera aveva bisogno di Lele Mora per riempire i vuoti. Vuoti di vita, più ancora che di sesso: “Poi se un signore che ha voglia di accerchiarsi di gioventù perché così magari si sente vivo di più…cosa c’è di male?”, ha chiosato Mora. Già: niente di male. C’è solo il niente, niente di niente.
Ecco: per questa ragione, per questa sua ormai disvelata, estrema debolezza nel massimo del potere, per questa sua maniacalità emotiva, più ancora che fisica, difficilmente Berlusconi potrà più far breccia nella stima, se non nel cuore, di quegli italiani, e sono tanti, che ancora non lo apprezzano. Per molto meno in America Bill Clinton, da presidente, fu messo in croce; per cose simili Richard Nixon si vide inchiodare dal celebre slogan: “Comprereste un’auto usata da quest’uomo?” stampato sotto un suo primo piano. Oggi, a una domanda simile riferita a Berlusconi, una metà degli italiani risponderebbe, forse: “Comprarla no, ma se ce la regala, visto quant’è generoso, ce la prendiamo…”.