La situazione di stallo che sta attraversando la politica italiana deve essere liberata da un grande equivoco di fondo. Il “passo indietro” di Berlusconi è il pretesto per la realizzazione di progetti di potere che poco hanno a che fare con la soluzione dei problemi.
Supporre che potremmo essere diversi, ovviamente migliori, e le cose finalmente andare bene con la scomparsa dalla scena politica di Berlusconi è un atto profondamente e intrinsecamente immorale. Se davvero Berlusconi è l’origine di tutti i mali, tutti noi esponenti del Popolo della Libertà altro non siamo che complici risibili e inerti. Se, invece, nella sua storia politica è stata data voce, pur non compiendola, alla speranza di molti di noi in ordine a possibili radicali riforme del sistema, allora: animo! Rimbocchiamoci le maniche. E smettiamola di invocare il momento in cui potremo esistere e costruire perché qualcuno ce lo permetterà.
È vero invece che Berlusconi ha avuto la forza di mettere insieme ciò che insieme apparentemente non poteva stare. L’autonomismo regionalista della Lega, l’istanza identitaria tipica della Destra italiana, le aspettative di libertà economica e di sussidiarietà di un blocco sociale nuovo attratto da Forza Italia. Spetta a noi, quindi, e non a Berlusconi fare in modo che questo patrimonio non si disperda realizzando forme di partecipazione alla politica e riforme antistataliste nel segno di valori che, se solo proclamati, finiremo con rendere invisi ai nostri elettori.
È la proposta politica che siamo chiamati a costruire oggi: il suo fascino, i suoi contenuti che possono avere un ruolo decisivo per il futuro dei nostri giovani, e non invece la scommessa sterile su se e come si concluderà la stagione dell’uomo che ha contraddistinto la Seconda repubblica. Lo ripeto, il problema non è il passo indietro di Berlusconi, ma il nostro passo avanti. La nostra assunzione di responsabilità a fronte di chi è tentato dallo scetticismo o peggio ancora dalla violenza.
A chi cerca in piazza di surrogare la democrazia non si risponde solo con la polizia ma proponendo una politica garante dei tentativi che le persone, le famiglie, le imprese fanno per vivere meglio. Garante, non padrona.
Il Papa invoca, e giustamente, “una nuova generazione di politici cattolici”. L’anagrafe nel mio caso è giudice impietoso di una pur comprensibile aspirazione a far parte del gruppo. Ma questo non vuol dire rassegnarsi a un “Paese per vecchi”, dove il succo dello scontro politico appare essere la difesa a oltranza delle corporazioni che da anni tengono in ostaggio il Paese e il suo sviluppo.
Nel partito in cui milito, cioè, voglio spazio per libertà di educazione e impresa. Un partito che non difenda la creatività di coloro che nella società costruiscono, magari contestandoci opportunità e beni relazionali non sarebbe difensore di interessi legittimi, ma una banda tenuta insieme solo dalla spartizione del potere.
Perché si possa costruire questa ipotesi con chance maggiori di quelle di oggi occorre mettere da parte i personalismi e promuovere in questi mesi la riconciliazione e il confronto tra tutti coloro che sono separati in Italia e uniti guarda caso in Europa sotto le insegne del Partito popolare europeo. Vivono cioè sotto lo stesso tetto, capaci di superare, attratti dall’affermazione di un ideale più grande, le contraddizioni che in Italia appaiono un muro invalicabile.
Credo, insomma, che il modo più utile per andare avanti sia quello di non dipendere da ciò che Silvio Berlusconi farà. Dal fatto che riesca o meno ancora una volta a cavare un coniglio dal cilindro. Occorre invece che un’ideale corrispondenza con le motivazioni che ci hanno spinto a seguirlo: ognuno di noi viva la responsabilità che gli è affidata, con realismo, perché è da questo che dipende il nostro futuro. E le ragioni per le quali abbiamo scelto di militare con Berlusconi vanno ben al di là delle sue qualità e delle sue incoerenze. Sono invece legate a ciò in cui crediamo, e che ha trovato in Berlusconi un catalizzatore imprevedibile e forte.
Sarebbe ingratitudine addossare a lui solo ciò che non siamo stati capaci di fare. Sarebbe enormemente grave non batterci adesso perché i valori e le idee che abbiamo care vengano sottratte alla logica di un “cupio dissolvi”.
Nella nostra unità e in un sostegno convinto alle ragioni e alle esperienze di quella parte di Italia così attiva e così motivata al cambiamento del Paese sta la strada giusta per accompagnarci in un tempo tanto difficile. Se non siamo una corte, ma siamo parte di una storia, è il momento di dimostrarlo.