Tra le mura del convento di Todi era possibile percepire distintamente che a convocare lì il mondo cattolico era la Storia. La storia che stiamo vivendo in questi mesi e in questi anni e che ci sollecita ad andare oltre quella lunga fase storica che è alle nostre spalle, alla ricerca di una nuova stagione che, per poter venire alla luce, ha però bisogno di una faticosa gestazione. In fondo, è stata proprio la gravità di questa crisi – con tutto il suo carico di urgenze, conflitti e speranze – che ha permesso di superare diffidenze, freddezze, sospetti, riuscendo là dove da vent’anni e più si era sempre fallito: far incontrare esponenti delle diverse anime del mondo cattolico per parlare e discutere insieme di politica e di futuro.



Ugualmente palpabile era la consapevolezza di una grande, financo sorprendente, vitalità del mondo cattolico. Nonostante tutte le sue debolezze e le sue fragilità, questa radice antica che attraversa l’Italia intera continua a costituire, oggi come ieri, un tessuto profondo e popolare che nessun’altra radice culturale e sociale può, neanche lontanamente, vantare. Così, coloro che prendevano la parola sono stati aiutati a non dimenticarsi di essere lì per conto e in nome delle tante persone, famiglie, associazioni, territori attivi in tutto il paese. Forse anche per questo la discussione è stata amichevole e il dibattito fluido.



In effetti, proprio tale radicamento è il vero antidoto all’antipolitica che, come ha osservato il rettore dell’Università Cattolica, Lorenzo Ornaghi, costituisce il rischio a cui le democrazie contemporanee sono esposte, indebolite come sono dai contraccolpi della crisi economica e sociale, mentre i palazzi della politica e dell’economia resistono nel difendere un modello di sviluppo che ormai non può più rappresentare un futuro per le nuove generazioni.
Nel caso italiano, più specificatamente, vent’anni di seconda Repubblica lasciano una pesante eredità: elites che, proprio perché si sono definite e pensate come acattoliche, si sono progressivamente allontanate dalle fibre più vitali del paese, perdendo progressivamente la propria capacità di governo.



Per questo, su Todi  ha  insistentemente aleggiato lo spirito di Sturzo. Grazie all’iniziativa delle sette associazioni economico-sociali di origine cattolica era lì rappresentata larga parte di quel  paese che “c’è ma non si vede” e che con le proprie forze, spesso lontano dalle istituzioni, si spende generosamente per tenere in piedi l’Italia. Una parte del paese che però ha  urgentemente bisogno di trovare nuovi canali e nuove forme di rappresentanza e di espressione, dato che quelli della politica tradizionale non riescono più a funzionare.

Esattamente come 100 anni fa, così anche oggi, ci troviamo, in condizioni storiche diverse, con lo stesso problema di Sturzo: trovare il modo per tornare a trasferire, all’interno del sistema  politico, le domande, le speranze, le capacità, le innovazioni che questa radice – insieme ai tanti concittadini di buona volontà – sa quotidianamente mettere in campo per affrontare la crisi e generare  futuro. Partendo dall’ascolto, passando dalla rappresentazione fino ad arrivare alla voce.

In conclusione, a mio parere il valore straordinario di Todi è che sia accaduto.

Dopo  Todi, non ci sono più  alibi per non essere pienamente consapevoli e responsabili della ricchezza del nostro mondo e  della sua capacità di parlare al paese e del suo futuro. Certo, poi si tratterà di andare avanti. Il che non significa tanto stringere in tempi brevi su una soggettività strutturata (un partito) – che francamente mi pare del tutto fuori dalla portata – quanto piuttosto di trovare i modi, le forme, gli strumenti per mandare avanti un processo in grado di rispettare la pluralità, ma al tempo stesso di esprimere un punto di vista comune, una visione politica, un desiderio di futuro.

L’impressione è quella di essersi imbattuti in una forma innovativa di rappresentanza politica. Infatti, a Todi si è vista nascere una nuova soggettività, non chiusa e rigida, ma aperta e dinamica, che, nel pieno rispetto della pluralità di cui è costituita, intende imparare a parlare con una voce sola su temi politici.

Perché tale nuova soggettività possa davvero svilupparsi occorrerà darsi un metodo di lavoro: la definizione di alcune proposte di tipo esplicitamente politico (con la necessaria elaborazione tecnica e giuridica); la realizzazione di eventi pubblici che consentano un’identificazione su ampia scala; una prima discesa nei territori (in una forma largamente federalista e autonomista); l’utilizzo di internet come canale di comunicazione e di racconto/raccolta di tutto ciò che d’innovativo e propositivo viene fatto dal Paese che c’è e non si vede possono essere identificati come strumenti concreti di lavoro.

In questo modo si può immaginare un percorso di consolidamento e rafforzamento che arrivi alla stabilizzazione di un linguaggio comune e a una visione  condivisa per il futuro del Paese.
Quello che poi accadrà, quali ulteriori passi, quali sbocchi e quale evoluzione non è dato per il momento di saperlo. Gli eventi che ci aspettano – dal punto di vista economico, sociale e politico – nei prossimi mesi ci sono largamente ignoti. Ma non è forse mettersi nelle mani dello Spirito l’unico modo, per un cristiano, di stare dentro la storia?

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