A una settimana dagli scontri che hanno devastato il centro di Roma, i timori di nuove violenze si spostano in Val di Susa. Alla manifestazione No Tav di domenica il Partito Democratico non ci sarà, i centri sociali invece sì. D’altronde, nella valle, la lotta è permanente e già in luglio i black bloc hanno fatto vedere di cosa sono capaci. «Almeno l’ipotesi assurda del taglio simbolico della rete è stata scongiurata – dice a IlSussidiario.net l’ex sindaco di Torino, Sergio Chiamparino –. Bisogna darne atto al prefetto che ha preso delle decisioni chiare e sensate. La manifestazione deve essere permessa, ma lontano dal cantiere. Solo così si può evitare l’infiltrazioni dei violenti. Chi protesta pacificamente però poteva arrivarci anche prima».



Il Pd comunque fa bene a disertare la piazza?

Mi sarei stupito del contrario, anche se temo che alcuni sindaci democratici parteciperanno comunque. Pensi che io trovo addirittura stucchevole che di questo tema si discuta ancora.

Cosa intende dire?

Stiamo parlando di un’infrastruttura strategica, che prima di essere avviata è stata valutata e discussa nelle sedi competenti. Ci sono stati progetti, miglioramenti e controprogetti. Dopodiché gli enti preposti hanno preso una decisione.
Chi non è d’accordo a questo punto dovrebbe rispettare la democrazia e accettare la decisione della maggioranza. Nessuno vieta di manifestare le proprie perplessità, ma non si può pensare che sia legittimo dare l’assalto al cantiere. Neanche a me piace tutto ciò che sta succedendo in Italia, ma non per questo vado in giro a sparare.



Anche i compagni di viaggio del Partito Democratico, Sel e Idv, hanno saputo evitare ogni ambiguità secondo lei?

Le rispondo così. Se fossi stato nei panni di Bersani a Vasto avrei detto: cari Vendola e Di Pietro, la foto con voi due la faccio solo se dite pubblicamente che siete d’accordo con la Tav.

Non è andata proprio in questo modo.

Infatti. Il problema però è politico. Per evitare giornate come quella di sabato scorso a Roma non bastano le misure proposte dal ministro Maroni, né le leggi speciali che vuole Di Pietro. Figurarsi poi se possono metterci una pezza i servizi d’ordine interni ai movimenti.



Qual è perciò il compito e la responsabilità della sinistra secondo lei?

Innanzitutto non deve stupirsi di ciò che è successo in piazza San Giovanni. I cosiddetti “black bloc” non sono un corpo estraneo a chi frequenta i centri sociali delle nostre città. Sarebbe un errore fare di ogni erba un fascio, senza distinguere chi persegue finalità sociali e chi invece ha un progetto eversivo. Ma non si può nemmeno chiudere gli occhi davanti a frange estremiste che quando hanno la possibilità di spostare l’asse delle manifestazioni sul terreno dello scontro radicale lo fanno.
Dopodiché bisogna introdurre delle discriminanti politiche che escludano dalle manifestazioni questi soggetti. So benissimo che c’è una sinistra che con i rapporti sociali ha un rapporto organico. Ma il passo va fatto. L’esperienza del terrorismo ce lo ha insegnato.

Stiamo correndo gli stessi rischi di quegli anni?

Guardi, l’unica differenza che ho visto tra i violenti di Roma e i terroristi del passato è l’uso delle armi. Cosa che non si può nemmeno escludere in futuro.
Ad ogni modo, la sinistra ha iniziato a sconfiggere il terrorismo quando ha capito che era un fatto politico e non una questione di provocatori, di agenti segreti o di fascisti travestiti da comunisti. Erano invece dei militanti che pensavano di volgere a favore della loro lotta la radicalizzazione dello scontro.
Fortunatamente a un certo punto il fenomeno è stato analizzato con lucidità e l’acqua nella quale questi pesci nuotavano è stata prosciugata.
C’è poi un altro insegnamento che non bisognerebbe dimenticare.

Quale?

Le radicalizzazioni hanno sempre consegnato la vittoria all’establishment e ai poteri forti, mai al fronte progressista. Non a caso, grazie agli scontri romani, dei problemi del governo non si è più parlato…

(Carlo Melato)

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