L’onorevole Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della Camera, si è dimessa da relatrice del ddl intercettazioni. Non si riconosce più, infatti, nel testo, dopo che il governo ha dato parere favorevole all’emendamento Costa. Che, in pratica, prevede il divieto di pubblicazione di tutte le intercettazioni fino alla cosiddetta udienza-filtro, nella quale il magistrato fa una cernita tra le intercettazioni rilevanti ai fini delle indagini e quelle che non lo sono.
«Si era raggiunto un accordo. Noi avevamo mostrato la nostra buona volontà, non votando le pregiudiziali. Ma l’emendamento rappresenta un significativo passo indietro rispetto al testo della Bongiorno», afferma, interpellato da ilSussidiario.net, l’On. Roberto Rao, capogruppo dell’Udc in Commissione Giustizia, alla Camera.
Secondo la Bongiorno, la legge rende, di fatto, impossibile dar conto di alcune notizie, dilatando a dismisura i tempi di pubblicazione. «Nel testo della Bongiorno – continua Rao –, che era già un punto avanzato di mediazione, si prevedeva che l’udienza filtro avvenisse entro 30 giorni dal deposito degli atti del Pm. Questo periodo, chiamato Black Out, era stato prolungato. Era stato fissato a 45 giorni».
Sul quel testo si era trovato un accordo «considerato congruo anche per venire incontro alle richieste della maggioranza. C’erano alcune eccezioni, tuttavia, determinate, ad esempio, dalle ordinanza di custodia cautelare o dal sequestro. In questi casi, non si poneva il vincolo dei 45 giorni, essendo atti talmente eclatanti che non si può attendere un periodo così ampio prima di conoscere i motivi di tali provvedimenti».
Ora, con l’emendamento, le eccezioni vengono rimosse. «È paradossale, perché si impedisce ai giornali di pubblicare atti che sono pubblici». Le eccezioni, come ha spiegato la Bongiorno intervistata da RaiNews 24, riguardavano quelle intercettazioni utilizzate in una «una fase preliminare. Per esempio nelle ordinanze di custodia cautelare o in altre occasioni. Con questa modifica tutte le intercettazioni che nel corso del tempo vengono anche conosciute dalla difesa, non solo non possono essere pubblicate nel testo e questo va bene, ma  non se ne potrà nemmeno dare notizia». C’è un’altra questione che, per Rao, è decisamente preoccupante.



«L’autorizzazione a procedere con le intercettazioni viene affidata a un collegio di tre giudici (prima era un giudice monocratico) risiedente nel capoluogo di provincia. Il che, anzitutto, comporterà un maggior dispendio di soldi, risorse ed energie, per spostarsi di volta in volta e ottenere le autorizzazioni. Inoltre, i tre giudici ogni 30 giorni devono essere rinnovati e non possono far parte del collegio giudicante il fatto in questione. Nei piccoli medi tribunali si determinerà, quindi, una semiparalisi per l’intreccio di incompatibilità». 

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