Si andrà a elezioni? E quando? Da destra a sinistra, passando per il centro, tutti si arrovellano sulla questione. Il referendum, grazie a 1 milione e 200mila firme (un successo strepitoso) raccolte per esser presentato alla Corte Costituzionale, minaccia l’ipotesi. I partiti si stanno facendo i conti in tasca per capire cosa realmente convenga loro. Svariate formazioni sono ben consapevoli del fatto che l’eventuale ritorno al Mattarellum scompaginerebbe le carte in tavola in maniera inaccettabile. Tanto vale mantenere lo status quo. Ma, anche in questo caso, non è chiaro come. Abbiamo chiesto a Paolo Franchi di render più distinguibili i fattori in gioco.



Quali saranno le mosse dei principali partiti?

Anzitutto, va detto che non è per nulla scontato che la Corte costituzionale decida di dare il via libera ai quesiti. Secondo l’interpretazione corrente potrebbe, in ogni caso, fungere da stimolo per una riforma elettorale con un accordo, in Parlamento, quanto più possibile ampio. Dati i rapporti tra maggioranza e opposizione, e quelli tra le opposte fazioni interne alla maggioranza, dubito, tuttavia, che sussistano le condizioni per un accordo del genere.



Quindi, posto che la Consulta dia l’ok, che scenari prevede?

Berlusconi, di sicuro, in questa situazione di devolezza e logoramento, non vuole andare a votare. Il referendum, paradossalmente, lo avvicinerebbe alla fine della legislatura. E al semestre bianco in cui il presidente non può sciogliere le Camere. Tantomeno vuole le urne anticipate la Lega. Sul piano elettorale, attualmente, non sta messa bene. Nel centrodestra, quindi, la spinta selvaggia per andare a elezioni – di cui tutti parlano – non la vedo.

E nel centrosinistra?

Il referendum sta venendo utilizzato dalla minoranza interna al partito per attaccare Bersani. Ma questo è solo l’aspetto più manifesto della questione. Lo scontro sta facendo, infatti, emergere due punti di vista radicalmente diversi sul futuro delle alleanze. Il Mattarellum penalizza l’Udc e se il Pd cavalcasse il referendum, si precluderebbe  ogni rapporto con Casini. Ma Bersani, e con lui molti altri, è intenzionato a trovare un modo per intendersi con la sinistra estrema e, al contempo,  trovare un qualche tipo d’accordo con il centro.  L’altra componente del partito, specie quella di “veltroniana” memoria, invece, è convinta che il referendum rappresenti la possibilità per alimentare le proprie pulsioni bipolariste.



A questo punto, l’Udc con chi si schiererà?

 

Se parliamo di tempi rapidi, poche settimane, o pochi mesi, in cui dover scegliere con chi allearsi, l’Udc contratterebbe con chi fosse in grado di garantirgli un sistema elettorale in grado di farla sopravvivere. Ma la situazione è in divenire. Il centrodestra è allo sbando, il centrosinistra estremamente frastagliato e, al contempo, tra i moderati c’è fermento. Vi è un abbozzo embrionale di nuove formazioni. Da Della Valle a Confindustria, passando per Bagnasco sta accadendo qualcosa.  C’è una riclassificazione di forze diverse che potrebbero alterare gli equilibri.  L’Udc, in un futuro non troppo remoto, guarderebbe prevalentemente a questi ambienti.

 

Non si troverebbe maggiormente a suo agio con un Pdl riformato, con una nuova leadership eletta dalle primarie e, magari, senza Berlusconi?

 

Il problema è che gran parte del Pdl sarebbe felicissima di trovare una qualsivoglia soluzione perché Berlusconi si facesse da parte e perché si esprimesse una nuova classe dirigente. Tuttavia, nessuno è in grado di definire quale sia questa via d’uscita. E, del resto, il Pdl è un partito “patrimoniale”, che per sua natura non prevede una leadership contendibile. Nessuno, infine, attualmente avrebbe il potere e il consenso di contendergliela.

 

In più, la maggioranza gli sta mettendo a punto il “salvagente” del ddl sulle intercettazioni…

 

E’ tale nelle intenzioni, questo è evidente. Tuttavia, è il tipo di provvedimento che crea divisioni e fratture tali da rischiare di diventare controproducente.

 

E se Prodi si rimettesse in pista? Il suo zelo nel celebrare il risultato del referendum è apparso a molti sospetto….

Non è escluso che voglia togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Gran parte dei suoi detrattori si trovano nelle coalizioni che ha guidato. E, nonostante le critiche, è l’unico che in due anni è riuscito a battere Berlusconi due volte. La vendetta è un piatto che va servito freddo… E’ ragionevole credere, tuttavia, che lui, come pochissimi altri, sia nel mondo della politica che nell’opinione pubblica, abbia colto un aspetto decisivo quanto ignorato.

 

Quale?

 

C’è nel Paese un’ondata di anti-politica simile a quella dei primi anni ’90, ma di violenza inaudita, e con una novità: allora, diversi referendum e la promessa bipolare rappresentarono un modo per intercettare il malcontento e rispondere a un’esigenza. Oggi, non solo c’è una crisi economica che ai tempi non c’era, ma non vi è alcuna “valvola di sfogo”, nessuna speranza collettiva di rinnovamento. Con un risentimento molto più sordo e radicato. Rispetto a tutto ciò, il referendum, con la premessa di cambiare la legge elettorale e il sistema che essa tiene in vita, può rappresentare un modo per calmierare parzialmente il disagio e il risentimento della popolazione.  

 

(Paolo Nessi