La frenesia caotica dello scenario politico non si acquieta. Neppure sotto la minaccia degli strali della crisi. Procedono, come niente fosse, le lotte tra opposte fazioni e tra fazioni intestine. Nel Pd, il giovane sindaco di Firenze ha chiesto agli anziani di farsi da parte. L’”anziano” Bersani, senza mai nominarlo, ha intimato a Renzi di stare al suo posto. Di non scalciare. Sembra che, in vista delle primarie (nonostante le smentite d’ordinanza, Renzi vuole candidarsi)  gli equilibri si stiano scompaginando. Ma è solo una percezione distorta dell’effetto mediatico. Spiega, infatti, a ilSussidiario.net Alessandro Amadori, a.d. di Coesis: «Essenzialmente Renzi è ancora un leader regionale e, su un bacino allargato, non ha un indice di gradimento superiore a quello di Bersani. Nessun leader, del resto, oggi, in Italia, va oltre alla soglia del 30%. Renzi è un personaggio in crescita. Ma, per ora, non ha bucato il video». Resta il fatto che le primarie si renderanno necessarie in caso di elezioni anticipate. A quel punto, anche il Pdl avrebbe il suo bel da fare. E, lo stesso Renzi, si troverebbe a scontrarsi con personaggi in grado ben più di lui di far del filo da torcere a Bersani. La cui vittoria non sarebbe scontata.



«E’ l’ipotesi più probabile. Ma anche Vendola e Di Pietro hanno alcune chance. Più il primo del secondo». Strano, dato che sono stati gli stessi leader di Sel e Idv ad aver dato più volte l’impressione di avere intenzione di candidarsi sapendo bene di aver ben poche probabilità di vittoria. «Dipende –  spiega – dalla configurazione motivazionale del momento degli elettori. Ci sono casi particolari, in cui l’elettore di centrosinistra si mobilita al di là dell’apparato di partito in virtù di una grande voglia di riscossa. E può risultare vincitore un outsider. Come nel caso della amministrative milanesi e di quelle napoletane, che hanno visto il trionfo di Pisapia e De Magistris. O, più indietro nel tempo, come nel caso della vittoria di Vendola in Puglia». Tuttavia, salvo le eccezioni, «l’apparato del Pd continua ad essere determinante».



Si dice, invece, che il Pdl sia in rimonta… «Non oltre il margine statistico di errore – replica -; di sondaggio in sondaggio continua a oscillare tra il 26 e  il 28%. Ma, semplicemente per  l’effetto dell’errore casuale di campionamento, non ci sono significative variazioni. E’ troppo presto per dire che si è invertito il trend». Paradossalmente, le recenti sortite di Berlusconi contro l’euro («non ha convinto nessuno») potrebbero  contribuire a  guadagnare consensi. «In Italia, storicamente, c’è una dissociazione tra la cultura ufficiale e quella popolare, particolarmente netta ed evidente. Non è detto che la prima sia migliore della seconda». 



Questo, per dire che «il fatto che l’euro non sia amato dagli italiani, ma rappresenti una costruzione finanziaria e concettuale care alle tecnocrazie, è fuori discussione». A riprova di quanto detto, valgono alcune considerazioni: «l’euro ci ha impoverito. Questo è il ragionamento di almeno 50 milioni di italiani. Del resto, che sul lungo termine, da qui a 50-60 anni, possa ritenersi un esperimento di successo e sensato è tutto da dimostrare.  Berlusconi, con queste affermazioni, si rimette in sintonia con degli umori popolari che non sono sciocchezze di gente incolta. Ma operazioni di buone senso che, spesso, vedono al di là dei raffinati calcoli dei tecnocrati. Basti pensare ai sofisticati strumenti matematici che hanno dato vita ai derivati finanziari…»

 

(Paolo Nessi