Dopo il voto alla Camera dei deputati con il quale è stato approvato il decreto legge sulla stabilità, conforme ai voleri dell’Unione europea, Silvio Berlusconi ha incontrato il Presidente della Repubblica al Quirinale per presentare le dimissioni con cui ha detto addio alla sua legislatura iniziata nel 2008 e che avrebbe dovuto concludersi nel 2013. Un voto annunciato, l’ultimo atto del governo Berlusconi, che adesso vede un cambio di governo festeggiato da centinaia di persone davanti al Quirinale e apprezzato anche dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che benedice questo cambio di rotta in Italia, visto come uno “sviluppo positivo” verso la soluzione della pesante crisi europea. Il presidente americano sottolinea infatti che i cambi nei governi greco e italiano sono “positivi” perché sono un passo in avanti verso al soluzione della crisi del debito dell’Europa e, dal lontano vertice dell’Apec (Asia-Pacific economic cooperation) che si svolge alle Hawaii, Obama invita il nostro Paese ad agire il prima possibile: «Resta del lavoro da fare in Europa per dare ai mercati l’assicurazione che paesi come l’Italia possano finanziare il proprio debito». Negli ultimi giorni, il presidente statunitense aveva anche chiamato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, esprimendo «fiducia nella sua leadership» nonché «sostegno per la sua azione in un momento» difficile come questo. Più freddi invece i rapporti con Silvio Berlusconi: i due avevano avuto una conversazione telefonica in agosto, quando Obama aveva espresso il proprio appoggio alle misure dell’Italia per affrontare le sfide economiche immediate. Ma il loro rapporto è nato col piede sbagliato, da quando Berlusconi, poco tempo dopo l’elezione di Obama, aveva definito il presidente americano “giovane, bello e anche abbronzato”. Poi, al G8 di Deauville lo scorso maggio, Berlusconi si era intrattenuto con il presidente americano per alcuni minuti e successivamente, dal labiale del colloquio, era emerso che si lamentava con Obama che in Italia ci fosse una dittatura dei giudici di sinistra.