Proseguono le consultazioni del senatore a vita Mario Monti per la formazione di nuovo governo. Questa mattina il professore, che domenica ha accettato con riserva l’incarico del presidente della Repubblica, concluderà gli incontri con i partiti ricevendo i rappresentanti del Partito Democratico e del Popolo della Libertà. Nel pomeriggio verrà poi il momento delle parti sociali. La strada resta in salita, anche se il centrodestra ha lasciato cadere la bandiera delle elezioni anticipate. Si attende infatti di conoscere la squadra dei ministri, ma soprattutto il programma del nuovo governo, che dovrà essere condiviso da forze politiche fino a ieri in lotta.



«Con la speranza di saperne al più presto di più – dice Giulio Sapelli a IlSussidiario.net –, bisognerebbe riflettere a mio avviso su tutto ciò che è successo in questi ultimi giorni. La democrazia odierna si disvela infatti sempre più come poliarchia. Un intreccio cioè tra rappresentanza territoriale (esercitata dal popolo con il voto) e rappresentanza funzionale (praticata dalle imprese e dalle banche). Il ricatto che questo secondo corno esercita è sempre più pesante e chiunque, a questo punto, può iniziare a vederne i frutti».

Cosa intende dire?



Dico che nella definizione dei governi, accanto alla rappresentanza popolare, agiscono ormai chiaramente quelli che io chiamo i “poteri situazionali”.
In questo caso le lobby finanziarie non hanno certo dovuto faticare molto, dato che il sistema politico italiano era già in disfacimento e che la crisi del governo Berlusconi maturava da tempo. Questa volta però ho notato una triplice innovazione.

Quale?

Per prima cosa quella del “governo mediatico”. Ci stavamo abituando all’idea di assistere allo svolgimento mediatico dei processi, penali e civili. Oggi scopriamo che la stessa cosa si può fare anche con i governi. Il governo Monti, infatti, ha iniziato a esistere addirittura prima che fosse informato il Parlamento.
In secondo luogo parlerei di “Zelig Monti”, ovvero, “come ti trasformo un tecnocrate in politico”, ricordando il celebre film di Woody Allen nel quale il protagonista cambiava continuamente le sue fattezze. Attenzione, il potere situazionale che diventa potere politico non è certo una novità, né una particolarità italiana. Diciamo solo che in un mondo in cui l’eccezione è sempre più la norma (le figure più importanti della politica mondiale sono infatti sempre più legate al capitalismo finanziario) noi siamo “più realisti del Re”.



E la terza novità? 

Un consiglio dei ministri che assomiglia sempre di più a un consiglio di facoltà. Da un lato quindi soli tecnici, un’opzione che non convince nemmeno il Financial Times e il Wall Street Journal. Dall’altro, tutte personalità che esprimono lo stesso pensiero, quello che esprimono le scuole di business.
Non credo che ci sarà spazio per i non ortodossi, come ad esempio Guido Tabellini, che ha avuto l’ardore di dire che il problema non è il debito, ma la crescita o che andrebbe cambiato lo statuto della Bce.
Ad ogni modo i partiti non mi sembrano molto preoccupati. La macelleria sociale verrà lasciata ad altri senza che si sporchino le mani. Bersani a questo punto non deve fare più le primarie e Berlusconi può tornare a sognare un nuovo partito personale che viaggi intorno al 15%.

Non ci sarà armistizio, quindi, secondo lei. Finita la transizione si ricomincerà come prima?

Nel centrodestra secondo me si annuncia il ticket Maroni-Alfano, mentre il centrosinistra sembra aver trovato in Mario Monti il suo nuovo leader. È comunque presto per dirlo. Io mi preoccuperei più del duo franco-tedesco che adesso muove al saccheggio dell’Italia.

C’è da temere ad esempio per il destino di Eni, Enel e Finmeccanica?

Credo di no. C’è un management solido che, scandali a parte, ha lavorato bene. Mi preoccupa di più invece lo stato delle banche italiane. Chi avrebbe pensato un anno fa che le fondazioni avrebbero dovuto indebitarsi? Perché nessuno denuncia le clausole per la ricapitalizzazione pensate dall’Eba che, come Basilea 3, le penalizzano?
È così assurdo che si ha la netta sensazione che si chiuda il cerchio aperto con le privatizzazioni “alla Eltsin” (cioè senza liberalizzazioni) degli anni Novanta. Ci ritroviamo così senza grandi imprese, con la crescita affossata e, da pochi giorni, con una guida senza pensiero alternativo. La rotta è chiara: incremento della deflazione, taglio dei costi, senza abbassare le tasse e senza crescita. Se queste sono le premesse ci attende una recessione profondissima.

In che senso non c’è un pensiero alternativo?

Le sembra normale che un dibattito sulla fine che sta facendo il capitalismo debba leggerlo soltanto sul Financial Times? Ci troviamo davanti al pensiero unico autoimposto del capitalismo tecno-nichilista. Un capitalismo senza più valori che pensa solo a rispondere alla Bce e non spende una parola sui 200 milioni di disoccupati. Un Paese come il nostro non può non avviare una riflessione seria su tutto questo.

(Carlo Melato)

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