Mi è capitato più volte per lavoro di sfogliare l’elenco e soppesare i curricula di deputati e senatori degli ultimi governi. E più volte di storcere il naso davanti a prove di cursus honorum non proprio brillanti. Ma questo chi è? Perchè è stato eletto? Che esperienza ha? Chi lo conosce? Facendo ammenda, voglio spendere qualche parola per un elogio dei peones, dei manovali della politica. Quelli che gli scranni li salgono, non ne scendono i gradini con sufficienza. Quelli che hanno studiato ragioneria, o hanno fatto l’alberghiero, e non se ne vergognano. Quelli che hanno pesanti inflessioni dialettali nell’eloquio, e, come la maggior parte di noi, sanno poco o male l’inglese. Quelli che a Roma si sono presi un alloggio in affitto in tre, per non star soli (mica tutti vanno a escort, è una bufala) e la sera girano il centro in cerca di una trattoria per assaggiare l’amatriciana come si deve. Quelli che “ahò”, “dàje” e salgono o scendono il fine settimana non tanto per visitare i collegi, ma per la partita della squadra del cuore.
Quelli che quando parlano coi giornalisti si impicciano, fanno gaffes, non sciorinano relazioni appuntate sapientemente nelle lunghe notti insonni al tavolino. Quelli che mal sopportano la cravatta, sudano un po’, e qualche volta, quando scappa, tirano fuori un bel vaffa. Non è da bocconiani, non sta bene sulle labbra dei rappresentanti del Parlamento. Ma il Parlamento dovrebbe rappresentare il Paese, dovrebbe mettere in mostra uomini, non innanzitutto professori. Parlo dei peones della politica senz’ombra di ironia,  escludendo naturalmente i premiati per  favoritismi personali, per giochi di potere, per camarille criminali. E’ capitato. Ma attenzione ai puri, agli ostentatamente sobri.
Anche loro hanno sponsor e padri potenti; nobili, magari, ma potenti.  Se diciamo “lobby” anziché “giro di amici”, cambia solo lo status, il sigillo di qualità. Le lobbies contano di più, hanno più stile, ma a volte fanno danni lo stesso. Non ho nulla contro i neoeletti che si sono assunti il gravoso compito di tirar su la baracca dello Stato. Una baracca, non la suite di un loft ai Parioli. Di far girare la macchina  dell’economia  e del paese. Una macchina, appunto, ha bisogno di tecnici, come l’idraulico quando la caldaia non parte, l’elettricista per l’impianto non a norma.  Credo che gli esimi prescelti all’immane bisogna sapranno passare agevolmente dalle cattedre universitarie, dai seggi di presidenza delle banche alle cadreghe ministeriali, tirandosi su le maniche e lavorando per il ben comune. Lo impone il realismo, e la contingenza drammatica.



Lo chiede la gente, cui la politica dovrebbe servire. Ma intanto, ho già un po’ di nostalgia di quel sindaco delle valli, quel sindacalista calvo del sud, quella signora grassa che non conosce stilista; quella ragazzotta dagli occhi azzurri alle prime armi, l’ex seminarista che ancora non crede sia finita la DC, quell’azzimato tontolone che non sa dettare un comunicato stampa. Of course, i dotti e sapienti sapranno far meglio, ci vuole poco, e poi, con tutti ‘sti elogi, le sviolinate dei media e questi endorsement dall’alto dei Colli  e dei Palazzi d’Europa! Ma ci stiano vicini, per capire quel che vogliamo. Imparino ogni tanto a chiudere il Financial Times o la rivista di teologia, e sfoglino la Rosea o la Guida degli agriturismi.  
Diano un’occhiata nei luoghi disdicevoli e nauseabondi, pacchiani e grossolani del paese reale. Ci guadagneranno anche loro, e noi smetteremo di sospettare della loro algida differenza, del loro elegante ed estraniante distacco. 

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