Mario Monti, ieri, si è presentato al Senato nelle vesti ufficiali di presidente del Consiglio e ha ottenuto la fiducia. Il suo discorso programmatico di quasi cinquanta minuti, interrotto da 17 applausi, ha esposto le linee guida della sua azione di governo. Che, come ormai tutti si aspettavano, contemplerà una serie di misure che obbligheranno molti a compiere seri sacrifici. In cambio, il risanamento dei nostri conti pubblici e, in futuro, maggiore stabilità. Resta da capire se alle parole seguiranno i fatti. E se, soprattutto, si verificheranno le condizioni perché ciò possa accadere. Abbiamo chiesto al direttore dell’Unità Claudio Sardo se la compagine governativa riuscirà a scampare ad eventuali sgambetti; e, in tal caso, con quali sfide si dovrà confrontare.
Anzitutto, qual è il messaggio principale che lei ha colto nel discorso di ieri?
Ho trovato molto positivo e inedito lo stile e il rispetto con il quale si è rivolto alla politica e alle istituzioni democratiche, trasmettendo, con i suoi modi, la percezione della necessità di affrontare una fase di risanamento. Non ho, inoltre, ravvisato nelle sue parole alcuna presunzione di superiorità – in quanto tecnico – sulla politica. Infine, è stato in grado di comunicare la sua fiducia nella capacità italiana di uscire dalla situazione che stiamo vivendo.
Tra i nodi che Monti, con ogni probabilità, dovrà affrontare, vi è quello della patrimoniale. Qual è la sua opinione in merito?
Credo che la portata dei sacrifici chiesti al Paese imponga a chi dispone di grandi rendite o di grandi patrimoni di contribuire. Anzitutto, perché è solo l’equità che può rendere sopportabili tali sacrifici; si tratta, inoltre, di una questione di efficienza economica. L’alternativa sarebbe tassare famiglie, lavoratori e imprese. Tali categorie, tuttavia, se vogliamo alimentare la crescita, devono essere oggetto di uno sgravio fiscale. Ma se si abbassano le imposte da una parte, occorre alzarle dall’altra. Va da sé che, a questo punto, non resta che mirare ai grandi capitali.
Eppure, Berlusconi ha fatto sapere che il suo partito porrà il veto. Per Monti, è un problema serio?
Il Pdl, di certo, ha la possibilità di far cadere il governo. Del resto, la compagine guidata da Monti, non può pensare di durare basandosi su maggioranze esigue, di poco più di 315 voti. Che un provvedimento passi con questi numeri, potrà accadere una tantum. Ma, i principali partiti dovranno essere coesi per garantire a Monti le condizioni per svolgere serenamente il proprio lavoro.
Non crede che, di volta in volta, Monti si possa affidare a maggioranze variabili?
Difficile, senza il sostegno delle due forze principali del Paese. I dubbi principali rimangono, in ogni caso, quelli relativi al Pdl. Il quale, tuttavia, è possibile che continui a sostenere il governo pur non essendo d’accordo su singoli punti.
In caso contrario, cosa comporterebbe la rottura con il presidente del Consiglio?
Far cadere il governo Monti avrebbe un costo politico alto. Si condannerebbe, con ogni probabilità, ad una legislatura di opposizione. Potrebbe, tuttavia, essere una scelta finalizzata a rigenerarsi. Credo, in ogni caso, che nessuno in seno al partito abbia già stabilito il da farsi. Si tratterebbe di una scelta decisamente prematura.
Per il momento perdurerà la fase di concordia?
Non credo che quella tra il Pd e il Pdl si possa definire concordia. Il contrasto e la rivalità non si ridurranno. Del resto, il governo Monti non nasce come esecutivo di grande coalizione. Non a caso, la condizione della sua esistenza è stata l’assenza di ministri politici.
Quanto è realistico supporre che la legislatura venga portata a termine?
In questi primi due mesi il governo dovrà affrontare l’emergenza e sono convinto che saprà portare lo spread a livelli accettabili, entro la classifica del rischio europea. I questi due mesi, credo che nessuno si azzarderà a farlo cadere.
Dopo gennaio, tuttavia, il destino del governo Monti si misurerà sulla sua capacità di riformare il sistema politico. Se riuscirà a riformare la legge elettorale, a dar vita a quelle riforme costituzionali – anche piccole – necessarie, e a dare l’idea di stare consegnando al sistema politico italiano un bipolarismo migliore, allora durerà sino al 2013.
Superata la fase immediata di emergenza, quando avremo la garanzia che il nostro spread si attesterà stabilmente su livelli accettabili?
Prima, occorre capire come siamo arrivati a questo punto: alla situazione hanno contribuito il crollo di credibilità del governo e la sua incapacità, nell’ultimo anno e mezzo, di prendere decisioni. Tuttavia, vi hanno concorso decisamente le politiche dell’Europa; quelle della Merkel, di Sarkozy, della Bce e dell’Fmi. Basti pensare che, in Grecia, 18 mesi di cura sulla base delle loro strategie hanno determinato un elevatissimo costo sociale e l’aumento del debito pubblico.
Quindi?
Da un lato, sul fronte interno, il governo dovrà fondare la sua azione su due cardini: l’equità e la coesione sociale. Combattendo l’evasione fiscale, introducendo la patrimoniale o valorizzando i corpi intermedi e le parti sociali, coinvolgendo nelle decisioni non solo i sindacati e Confindustria, ma anche, ad esempio, la cooperazione, le pmi, gli artigiani, i professionisti, il mondo del non profit e il terzo settore. Dall’altro, sul fronte esterno, è ormai evidente a tutti che finché l’Europa non sarà economicamente coesa e finché la Bce non fungerà da prestatore di ultima istanza, come la Federal reserve, per coprire il debito dei singoli stati, i problemi non potranno mai essere risolti alla radice. Se si agirà su tutti e due i fronti, lo spread, in futuro, potrebbe anche arrivare intorno allo zero.
Che contributo potrebbe dare il neo-premier al dibattito europeo?
Enorme. Del resto, è il padre della Competition Law europea, ed è tenuto in grande considerazione dalle istituzioni dell’Unione.
Nell’immediato, tornando allo spread, cosa accadrà?
Credo che ci sarà un abbassamento abbastanza rapido perché, anche grazie al discorso di ieri, si sta già insediando un clima di fiducia generale. Sono convinto, del resto, che il governo goda di un giudizio favorevole, e che abbia instillato un sentimento positivo anche nell’ opinione pubblica.
(Paolo Nessi)