Pdl, Pd e Terzo Polo costretti a subire le (non) decisioni, almeno finora, del governo Monti e alle prese con i loro, non piccoli, problemi interni di correnti confliggenti e rivalità mai sopite. È questo, ad oggi, il quadro che le principali forze politiche del Paese (Lega ed Idv escluse, anche se per motivi diversi) si trovano di fronte. Con un premier impegnato in un faticoso tour europeo che sta facendo ritrovare credibilità e autorevolezza all’Italia, ma che non è ancora riuscito a fugare i dubbi e le perplessità dei mercati finanziari e delle Borse di fronte alla crisi che avvinghia il Paese e con una compagine di governo non ancora formata né strutturata in tutte le sue caselle (mancano, all’appello, non solo i 35 circa sottosegretari ma anche i 12 viceministri: se ne parlerà di certo venerdì prossimo, a palazzo Chigi, al secondo cdm del governo), i partiti cercando di tenere botta, ma in realtà annaspano. E i nervosismi aumentano.
Sia l’altro ieri, in modo plastico, visto che la seduta dell’aula è durata, in totale, minuti sette, sia ieri, quando pure è cominciata, almeno, la “discussione generale” sulla riforma dell’articolo 81 della Costituzione, al fine di inserire, anche nella nostra Carta, il pareggio di bilancio, come ci chiede la Ue, l’aula della Camera dei Deputati era semideserta. Aveva, cioè, un aspetto spettrale, sconfortante.
«Il Parlamento non decide nulla, il governo non ci dice nulla e noi non sappiamo neanche cosa stiamo qui a fare», è la lamentazione non dei peones, ma direttamente delle prime e seconde file dei due maggiori partiti italiani.
Certo, ieri Monti ha visto, a ora di pranzo, i presidenti di Camera e Senato, Fini e Schifani, oltre a Draghi, per poi salire al Quirinale: l’agenda della colazione di lavoro verteva proprio sulla necessità di trovare una forma più stringente di rapporto tra governo, Parlamento e, ovviamente, partiti. Segno evidente che il problema c’è ed esula anche lo stesso “tormentone” sul principio, ribadito da Monti in più occasioni e con più interlocutori, in questi giorni, che vuole i sottosegretari tutti e soltanto “tecnici” (escluso quel paio di uomini che dovrà affiancare il neoministro Piero Giarda nel difficile compito di mantenere i Rapporti col Parlamento: uno di loro è Giampaolo D’Andrea, in quota Pd), escludendo rigidamente gli ex parlamentari, mentre i partiti (tutti) chiedono criteri più flessibili.
Un coordinamento tra Camere e governo, dunque, l’obiettivo, per favorire un “più agevole” percorso parlamentare dei provvedimenti messi a punto dall’Esecutivo per contrastare la crisi. Nel corso dell’incontro “si è convenuto sulla necessità di percorsi parlamentari agevoli, condivisi e veloci per l’esame degli interventi in materia economica, ivi compresa la riforma costituzionale relativa all’introduzione del princìpio del pareggio di bilancio”, la stessa che si sta discutendo alla Camera, ma i tre (Monti, Fini e Schifani) di certo avranno parlato anche dei calendari delle due aule parlamentari: quella di palazzo Madama, per dire, non ha proprio un bel nulla, all’ordine del giorno. Calendari che vanno riscritti da cima a fondo.
Per capirsi: via il ddl intercettazioni, fermo da mesi, se non anni, alla Commissione Giustizia della Camera, e via pure il processo breve, che il Senato avrebbe dovuto calendarizzare già da settimane per il voto finale, provvedimenti che stavano molto a cuore all’ex premier Berlusconi, e dentro con i temi “sociali”. Il ddl cittadinanza (diverse le proposte presenti in Parlamento, la più avanzata è la Sarubbi-Granata e giace alla Camera da anni), che offre ai figli degli stranieri un percorso rapido e immediato per ottenere il passaporto italiano, per dirne uno, richiesta autorevolmente rilanciato dal Capo dello Stato l’altro giorno e che ha già ricevuto il placet di tutte le forze politiche, con l’eccezione della Lega e di parte non piccola del Pdl.
Via libera anche, forse, ad alcune proposte che costituiscono il core business dell’Intergruppo per la Sussidiarietà, dalla stabilizzazione del 5 x mille (ddl a prima firma dell’on. Gabriele Toccafondi) al lavoro in carcere per i detenuti e ad altre proposte, come quella per far rientrare i giovani talenti dall’estero (Alessia Mosca), per non parlare dello Statuto delle Imprese già “portato a casa”, di fatto, da Raffaello Vignali (Pdl).
Del resto, è stato proprio all’interno dell’Intergruppo per la Sussidiarietà che leader politici come Enrico Letta e Maurizio Lupi, ma anche come Bersani e Alfano, hanno stretto amicizia e rapporti. Ecco, potrebbe – anzi, forse: dovrebbe – essere questo il metodo giusto.