Il neo ministro della Giustizia, Paola Severino, ha fatto il suo “debutto” al Csm, in occasione della cerimonia di insediamento del comitato direttivo della Scuola superiore di magistratura. Con lei, c’era anche il capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Che ha sottolineato come la formazione, per giudici e pm, non possa limitarsi al nozionismo, ma debba infondere «un valido codice deontologico volto ad affermare il necessario rigore nel costume e nei comportamenti del magistrato». Ribadendo, inoltre, la difficoltà del momento che stiamo vivendo, si è augurato che il neo titolare della Giustizia possa promuovere quel «confronto costruttivo che auspico da sempre e senza il quale non possono recuperarsi né l’efficienza né quel limpido e razionale funzionamento del sistema giustizia». Parole tutt’altro che accomodanti, difficilmente liquidabili come i tasselli di un discorso di facciata. Ne abbiamo chiesto il significato a Nicolò Zanon, giurista e membro del Csm.



Perché, secondo lei, Napolitano ha parlato di codice deontologico?

L’Anm ha già approvato un codice deontologico. La mia sensazione è che il capo dello Stato ritenga che siano necessarie alcune modifiche, e che debba essere reso più rigoroso su aspetti che attengono l’immagine esterna della magistratura. La fiducia dei cittadini nella giustizia e, di conseguenza, nell’indipendenza e nell’imparzialità dei magistrati, infatti, si basa proprio sull’immagine esteriore che vengono date di tali qualità. Per cui, è sempre utile sottolineare come sia indispensabile avere comportamenti sobri e discreti, anche al di fuori delle proprie funzioni; ed evitare dichiarazioni, ad esempio, che possano apparire come collateralismi politici.



Crede che esistano magistrati i cui comportamenti, in tal senso, non siano adeguati?

Credo, purtroppo, che esitano. Tuttavia, se esistono alcune situazioni negative, rese note dalla risonanza mediatica che generano, la stragrande maggioranza dei magistrati compie il proprio dovere, ogni giorno, silenziosamente e in modo discreto.

Perché occorre modificare il codice deontologico? Non è sufficiente il Csm a garantire il corretto operato dei magistrati?

Il Csm applica le norme di legge e, in particolare, la Sezione disciplinare applica le norme del decreto legislativo sugli illeciti disciplinari; la Quarta commissione e, successivamente, il Plenum del Cms, effettuano considerazioni periodiche relative alla professionalità dei magistrati che consentono di non lasciare la carriera in preda agli automatismi. Tali valutazioni tengono conto anche dei comportamenti pubblici assunti nel corso della carriera. Detto ciò, trovo difficile che il Cms identifichi le norme di un codice deontologico. Questo è compito delle associazioni dei magistrati.



Napolitano ha ribadito la necessità di promuovere un «confronto costruttivo» tra i magistrati e «i soggetti istituzionali competenti». Anche lui si rende conto del complicato rapporto tra politica e magistratura?

Il capo dello Stato ha costantemente richiamato tutti gli attori istituzionali ad una leale collaborazione, ciascuno secondo le proprie competenze. Purtroppo ci sono stati, in passato, momenti di forte tensione alimentati dalla politica e, talvolta, dalla magistratura. L’auspicio è che, tanto più in momenti di difficoltà come questi, le tensioni possano essere messe da parte e possa nascere uno spirito di collaborazione tra i due attori in gioco.

Crede che la natura tecnica del governo Monti possa favorire un clima migliore?

Il ministro “tecnico” (per quanto credo che tutti i governi, in sostanza, abbiano natura politica) non è mai stato coinvolto in questo genere di contrasti; l’esecutivo, inoltre, gode attualmente di un’ampissima maggioranza: ci sono le premesse, quindi, per prendere alcune decisioni senza il timore di incorrere in condizionamenti politici.

Quali decisioni? 

L’agenda è molto complessa. Ma, anzitutto, si dovrebbe dare attuazione – con un decreto legislativo – alla delega sulla riforma delle circoscrizioni giudiziarie; questo comporterebbe, ad esempio, l’abolizione dei tribunali di piccole dimensioni, spesso inefficienti. Sarebbe, inoltre, necessario contribuire a far partire effettivamente la scuola della magistratura cogestita dal Csm e dal ministero della Giustizia. Tra le priorità di questo governo, inoltre, ci saranno, di certo, misure relative all’efficienza, alla migliore organizzazione delle risorse e alla razionalizzazione della spesa.

Si parla da tempo della necessità di rendere effettiva la responsabilità civile dei magistrati. Qual è la sua opinione in merito?

Occorrerebbe modificare la legge ordinaria adeguandola ai principi espressi chiaramente dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea che, in alcune sentenze, ha stabilito che la nostra legislazione vigente in materia non è compatibile con il diritto comunitario. Perché, di fatto, impedisce di affermare concretamente la responsabilità civile laddove sarebbe opportuno che venisse contemplata. La esclude, infatti, nei casi di interpretazione del diritto e di valutazione del fatto e delle prove; ora, dal momento che l’essenza dell’attività giudiziaria consiste proprio nell’interpretazione del diritto e nella valutazione del fatto e delle prove, se per principio questi aspetti sono esclusi dalla responsabilità civile, quest’ultima difficilmente potrà esser fatta valere.  

Il governo, concretamente, cosa potrebbe fare?

Bisognerebbe agire, con misure molto mirate, sulle clausole della legislazione italiana in materia, la Legge Vassalli, per adeguarsi agli orientamenti della Corte di Giustizia europea. Un’operazione che andrebbe effettuata garantendo, tuttavia, l’indipendenza del magistrato. Per cui, ad esempio, credo che lo “schermo” della responsabilità dello Stato, che si fa carico di quella del magistrato, vada mantenuto. Come, del resto, accade in numerosi Paesi europei equiparabili all’Italia. In un passaggio successivo non escluderei l’ipotesi di rivalsa dello Stato sul magistrato.

Un altro cavallo di battaglia del governo precedente è quello della separazione delle carriere.

E’ una battaglia culturale che, per il momento, è stata accantonata, ma che resta all’ordine del giorno. Si tratta di misure che – come quelle relative alla responsabilità civile dei magistrati – non credo che il governo avrà modo e tempo di mettere a punto.  

Crede che, come in molti sostengono, la magistratura si sia intestata un’attività suppletiva rispetto alla politica?

Spesso le leggi approvate non delimitano i problemi, ma lasciano aperte svariate soluzioni, caratterizzate da un certo tasso di ambiguità. In questi casi non è raro che si affermi la giurisprudenza assumendo, anche in sistemi come il nostro, una funzione creativa attraverso tecniche interpretative. 

Qual è il suo giudizio in merito?

Personalmente, valuto negativamente una tale attività pseudo-creativa; che, naturalmente, si sviluppa a causa dell’inadempienza del legislatore e dell’inadeguatezza della legislazione. Ma consegna scelte che possono avere valore politico a funzionari dello Stato che, per quanto dotati di grandi capacità tecniche, non hanno alcune legittimazione per compierle.  Una considerazione attenta alla separazione dei poteri e ai limiti rispettivi della funzione giurisdizionale e legislativa, deve considerare questi aspetti con un’attenzione critica. E non limitarsi a constatarlo o, addirittura, a celebrare una simile attività discrezionale.

 

(Paolo Nessi)