Guido Gentili, editorialista de Il Sole 24 Ore, analista economico e finanziario, ma anche acuto conoscitore di cose politiche, non nasconde la sua preoccupazione di fronte all’andamento dei mercati e soprattutto alla pressione sui debiti sovrani. Infatti sembra quasi, in alcuni momenti della giornata, quando si osservano gli indici delle Borse, di vedere un autentico avvitamento della situazione, un aggravamento graduale che pare senza soluzione. Nonostante gli avvertimenti, le conferenze stampa europee a più voci, i cambiamenti di governo di alcuni Stati membri della Comunità europea che sono avvenuti e quelli che si attendono per imminenti consultazioni elettorali. È un momento di euroscetticismo diffuso, motivato talvolta da un’Europa che sembra senz’anima e che quasi si lascia andare alla deriva.



Scusi Gentili, lo spread oggi è ancora sopra i 500 punti, il Ftse Mib di piazza Affari viaggia sui 13.600 punti, anche perché nel pomeriggio la Borsa ha recuperato qualche cosa. Tutto questo significa che siamo in una situazione di allarme rosso. Tutti i segni di un aggravamento di questa crisi ci sono. Che ne pensa?



L’aggravamento della crisi si può dire che sia palmare, non solamente visibile. Noi ci siamo soffermati ad analizzare in questi ultimi mesi il differenziale tra il Bund e il Bpt decennale e su questo spread già avevamo tratto delle conseguenze e delle previsioni negative. Il fatto che ci sia stata un’impennata dello spread sui titoli di Stato a breve periodo, che arrivano a un rendimento dell’8 per cento per il biennale, è un aggravamento inquietante.

Che cosa significa tutto questo?

Che le nostre banche sono in reale difficoltà nell’elargire credito alle imprese e alle famiglie. C’è stato un impensabile sforamento dei tassi a breve. Il credito diventa inevitabilmente problematico, difficile e a costi a volte insostenibili per molte aziende. Si possono anche fare conti rapidi. Se la situazione va avanti in questo modo non è impossibile che si arrivi a un blocco di tutto il mercato del credito. Per l’Italia si presenta quindi un duplice problema: un aggravamento degli interessi sul debito pubblico e un blocco del credito per l’economia reale.



Non si vuole rimpiangere nulla e nessuno. Ma a questo punto bisognerà pur dire che il governo Berlusconi non era il problema principale della situazione di crisi che vive l’Italia e l’Europa.

Sta venendo fuori quello che molte “voci inascoltate” hanno detto in questi anni sull’attuale costruzione europea. Sulla costruzione di un’Europa monetaria, che poi non ha politiche economiche comuni, fiscalità comuni e via dicendo. Quando queste “voci inascoltate” venivano prese anni fa come degli euroscettici, come persone che avevano pregiudizi, probabilmente sbagliavamo un po’ tutti. Oggi è necessario dirlo: queste “voci” non erano relegabili nella categoria degli euroscettici tout court.

Cosa intende dire?

Volevano un’Europa ben più strutturata e più unita. Insomma l’Europa senza un’unità politica, quando si entra in un momento di difficoltà come questo, si rivela in tutta la sua fragilità. Che poi gli italiani, compreso il governo Berlusconi, ci abbiano messo del loro a complicare la situazione, è vero. Ma certamente il problema che si svela oggi in tutta la sua ampiezza è molto più vasto e più grande. È evidente che mettere tutto sul conto del governo di Berlusconi non ha senso di fronte a una crisi come questa.
Io continuo a ricordare l’ultima sentenza della Corte Costituzionale Tedesca, quella di settembre, dove poi la decisione dei giudici rinvia le decisioni finali e operative al Parlamento tedesco. Ora non si può non vedere in questo una assegnazione di piena sovranità alla Germania e di sovranità un po’ più limitata ad altri Paesi.

Veniamo a questo governo, che secondo alcuni ha già un’immagine appannata. Forse questo è un giudizio prematuro, forse rivela solo speranze senza senso di fronte all’ampiezza e alla durezza della crisi. Ma non c’è dubbio che il compito del nuovo governo presieduto da Mario Monti sembra avere le sue prime difficoltà. Questo ritardo sulla nomina dei sottosegretari sembra piuttosto macchinoso.

Il governo Monti è un governo di impegno nazionale, come lo stesso presidente del Consiglio ha affermato. E si regge su un appoggio dei partiti e su una maggioranza parlamentare senza precedenti. Non si può definire esattamente un governo di emergenza, ma è nato per un’emergenza. L’attuale premier deve affrontare la situazione in tempi brevi e senza attardarsi in ritualità anacronistiche. Faccia i suoi viceministri e i suoi sottosegretari. Non stiamo a pensare a riunioni che sono avvenute nella notte tra segretari di partito che altri non conoscevano e via dicendo, se no si va a scomodare la cosiddetta Prima repubblica. Non è questo il momento di perdere tempo con queste storie.

Il problema politico sembra che non riguardi solo i cosiddetti “paesi periferici”.

È vero anche questo. C’è un problema di classe politica a livello più generale. I leader europei di oggi non sono neppure paragonabili a quelli che venivano chiamati i “padri fondatori”. Non c’è dubbio che le stesse mosse di Nicolas Sarkozy e di Angela Merkel siano più dettate da problemi elettorali interni ai loro Paesi piuttosto che da uno spirito europeistico.
L’impressione che danno non è paragonbaile neppure all’impegno europeistico di un Jacques Delors. Noi ci troviamo in un’Europa che va a tre o quattro velocità diverse. Si continua a discutere e questa realtà non la affronta nessuno con la necessaria fermezza. Alla fine, credo che, se sia esatta la previsione di alcuni che puntano o alla caduta dell’Eurozona, oppure a un euro a doppia marcia, la stessa durezza delle signora Merkel sul problema degli eurobond, sul ruolo della Bce si ritorcerà anche sulla Germania stessa. E sarà il fallimento dell’intera clase politica europea.