Basta sfogliare le pagine dei giornali per rendersi conto che ci sono fatti, eventi, che esplodono con forza e si impongono all’attenzione pubblica bruciando però velocemente la loro carica emotiva, come se la loro provocazione fosse tanto rapida quanto fugace. Altri fatti invece riescono ad attrarre e a coagulare l’opinione pubblica assai più a lungo. Non si limitano a suscitare una qualche reazione emotiva, ma obbligano a pensare, a mettersi in discussione, a provare ad elaborare qualche considerazione personale, che inevitabilmente cambia da persona a persona.



Nella galassia dell’associazionismo cattolico, Todi continua ad avere questo benefico effetto di provocazione positiva, nonostante sia passato più di un mese da quel lontano 17 ottobre in cui un centinaio di persone si sono riunite per parlare di buona politica, avendo ben cura di lasciare fuori dal dibattito tutti i politici: credenti, non credenti e diversamente credenti. Ogni giorno, sulle più diverse testate giornalistiche, escono articoli che tentano di spiegare cosa stia succedendo nel mondo cattolico dopo Todi, come se ciò che è accaduto prima abbia uno scarso interesse o una minima rilevanza.



Ma ovviamente non è così. Anche la recente distinzione, lanciata da qualche giornalista non particolarmente fantasioso, tra cattolici progressisti, o cattolici adulti, quelli che per intenderci stanno rigorosamente a sinistra e i cosiddetti cattolici clerico-moderati, per definizione a destra, appare vecchia e superata. Di fatto si limita a riproporre con un maquillage linguistico di scarso appeal la vecchia distinzione tra cattolici riformisti e cattolici conservatori. Laddove riformisti indica persone aperte alle questioni sociali e disponibili al dialogo con tutto il mondo laico; mentre il termine conservatore segnala le persone arroccate sui cosiddetti valori non negoziabili. Questioni, che pur essendo interessanti nel dibattito bio-etico e bio-giuridico, nulla hanno a che vedere con le questioni politiche, che per definizione rappresentano il terreno della mediazione e dell’adattamento alle mode socio-culturali.



C’è un vistoso paradosso tra il modo con cui si cerca di interpretare ciò che sta accadendo all’interno del mondo cattolico, esasperandone tutti gli aspetti divisivi, e lo sforzo sorprendente con cui i leader dei tre maggiori partiti, che sostengono questo governo, cercano di smussare le ovvie diversità, che potrebbero determinare una ripresa della conflittualità.

Invece di cogliere gli elementi unitivi, che a Todi sono stati messi in evidenza con grande chiarezza, facendo leva sulle nostre comune radici, ci si ostina a marcare una serie di distinguo che danno atto della impossibilità di rilanciare una collaborazione serena e costruttiva. Eppure proprio a Todi si è detto fino a che punto i valori della nostra cultura e della tradizione vadano tenuti insieme, senza separare la sensibilità per le questioni sociali dal senso di responsabilità per i temi antropologici. Solo partendo da questa rinnovata unità è possibile determinare un cambiamento nel clima politico generale, superando le tensioni permanenti e pacificando vecchi conflitti.

Il paradosso che serpeggia nell’aria è che mentre si moltiplicano gli sforzi per un’etica della responsabilità che ci veda tutti impegnati a fronteggiare la drammatica crisi economica che stiamo vivendo, restando uniti qualsiasi cosa accada, il mondo cattolico si disperda una volta di più nell’analisi delle ragioni che rendono improponibile e impraticabile un ritorno all’unità. Non è questo il momento degli astratti distinguo sul piano della speculazione filosofica. Questo è il momento delle esercitazioni pratiche in un laboratorio politico in cui domina una rinnovata volontà di reciproca collaborazione, in cui ognuno fa la sua parte senza aver paura di aprirsi alle ragioni dell’altro per offrire nel confronto le proprie motivazioni e le proprie convinzioni.

Sarebbe un peccato se da Todi la politica uscisse più unita e il mondo cattolico invece più diviso. Se le cose stessero così, il nostro maggior desiderio sarebbe quello di innescare una gigantesca inversione ad U. Ma ci auguriamo che ciò non sia necessario perché – come ha appena ricordato Benedetto XVI parlando al Pontificio Consiglio dei Laici – «A volte – ha detto il Papaci si è adoperati perché la presenza dei cristiani nel sociale, nella politica o nell’economia risultasse più incisiva, e forse non ci si è altrettanto preoccupati della solidità della loro fede, quasi fosse un dato acquisito una volta per tutte. In realtà i cristiani non abitano un pianeta lontano, immune dalle “malattie” del mondo, ma condividono i turbamenti, il disorientamento e le difficoltà del loro tempo…».

L’unità è un buon modo per aiutarci a superare i turbamenti del nostro tempo e assicurare solidità alla nostra fede, anche quando siamo in schieramenti politici diversi. E questo è un tempo propizio per dare alla collaborazione sul piano politico-parlamentare il calore della nostra unità.